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254 SECONDA PARTE

detto maestro Moccio molto eccellente. E così arrivato Niccolò a Firenze, da prima lavorò per molti mesi qualunche cosa gli venne alle mani, sì perchè la povertà et il bisogno l’assassinavano e sì per la concorrenza d’alcuni giovani che con molto studio e fatica, gareggiando virtuosamente, nella scultura s’esercitavano. Finalmente, essendo dopo molte fatiche riuscito Niccolò assai buono scultore, gli furono fatte fare da gl’Operai di Santa Maria del Fiore, per lo campanile, due statue, le quali essendo in quello poste verso la canonica, mettono in mezzo quelle che fece poi Donato; e furono tenute, per non si essere veduto di tondo rilievo meglio, ragionevoli. Partito poi di Firenze per la peste dell’anno 1383, se n’andò alla patria; dove, trovando che per la detta peste gl’uomini della Fraternità di Santa Maria della Misericordia, della quale si è di sopra ragionato, avevano molti beni acquistato per molti lasci stati fatti da diverse persone della città, per la divozione che avevano a quel luogo pio et agl’uomini di quello, che senza tema di niuno pericolo, in tutte le pestilenze governano gl’infermi e sotterrano i morti, e che per ciò volevano fare la facciata di quel luogo di pietra bigia, per non avere commodità di marmi, tolse a fare quel luogo stato cominciato inanzi d’ordine tedesco, e lo condusse, aiutato da molti scarpellini da Settignano, a fine perfettamente, facendo di sua mano, nel mezzo tondo della facciata, una Madonna col Figliuolo in braccio, e certi Angeli che le tengono aperto il manto, sotto il quale pare che si riposi il popolo di quella città, per lo quale intercedono da basso in ginocchioni San Laurentino e Pergentino. In due nicchie, poi, che sono dalle bande, fece due statue di tre braccia l’una; cioè San Gregorio papa e San Donato vescovo e protettore di quella città, con buona grazia e ragionevole maniera. E per quanto si vede, aveva, quando fece queste opere, già fatto in sua giovanezza sopra la porta del Vescovado, tre figure grandi di terra cotta che oggi sono in gran parte state consumate dal ghiaccio; sì come è ancora un San Luca di macigno stato fatto dal medesimo mentre era giovanetto, e posto nella facciata del detto Vescovado. Fece similmente in Pieve, alla Capella di San Biagio, la figura di detto Santo di terra cotta, bellissima; e nella chiesa di S. Antonio, lo stesso Santo pur di rilievo, e di terra cotta, et un altro Santo a sedere sopra la porta dello spedale di detto luogo. Mentre faceva queste et alcune altre opere simili, rovinando per un terremuoto le mura del Borgo a San Sepolcro, fu mandato per Niccolò, acciò facesse, sì come fece con buon giudizio, il disegno di quella muraglia che riuscì molto meglio e più forte che la prima. E così, continuando di lavorare quando in Arezzo, quando ne’ luoghi convicini, si stava Niccolò assai quietamente et agiato nella patria, quando la guerra, capital nimica di queste arti, fu cagione che se ne partì; perchè essendo cacciati da Pietra Mala i figliuoli di Piero Saccone et il castello rovinato insino ai fondamenti, era la città d’Arezzo et il contado tutto sottosopra. Perciò, dunque, partitosi di quel paese, Niccolò se ne venne a Firenze, dove altre volte aveva lavorato; e fece per gl’Operai di S. Maria del Fiore una statua di braccia quattro di marmo, che poi fu posta alla porta principale di quel tempio, a man manca; nella quale statua, che è un Vangelista a sedere, mostrò Niccolò d’essere veramente valente scultore. E ne fu molto lodato non si essendo veduto insino allora, come si vide poi, alcuna cosa migliore tutta tonda e di rilievo. Essendo poi condotto a Roma di ordine di Papa Bonifazio IX, fortificò