Pagina:Vasari - Le vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 1-2, 1568.djvu/347

Da Wikisource.

NICCOLO ARETINO 255

e diede miglior forma a Castel S. Agnolo, come migliore di tutti gl’architetti del suo tempo. E ritornato a Firenze, fece in sul canto d’Or San Michele, che è verso l’Arte della Lana, per i maestri di Zecca, due figurette di marmo, nel pilastro sopra la nicchia, dove è oggi il S. Matteo che fu fatto poi, le quali furono tanto ben fatte et in modo accomodate sopra la cima di quel tabernacolo, che furono allora e sono state sempre poi molto lodate. E parve che in quelle avanzasse Niccolò se stesso, non avendo mai fatto cosa migliore. Insomma elleno sono tali, che possono stare appetto ad ogni altra opera simile; onde n’acquistò tanto credito che meritò essere nel numero di coloro che furono in considerazione per fare le porte di bronzo di S. Giovanni; se bene, fatto il saggio, rimase a dietro e furono allogate, come si dirà al suo luogo, ad altri. Dopo queste cose, andatosene Niccolò a Milano, fu fatto capo nell’Opera del Duomo di quella città, e vi fece alcune cose di marmo che piacquero pur assai. Finalmente essendo dagl’Aretini richiamato alla patria, perchè facesse un tabernacolo pel Sagramento, nel tornarsene gli fu forza fermarsi in Bologna e fare, nel convento de’ frati Minori, la sepoltura di Papa Alessandro Quinto, che in quella città aveva finito il corso degl’anni suoi. E come che egli molto ricusasse quell’opera, non potette però non conscendere ai preghi di Messer Lionardo Bruni Aretino, che era stato molto favorito segretario di quel Pontefice. Fece dunque Niccolò il detto sepolcro, e vi ritrasse quel Papa di naturale. Ben è vero che per la incommodità de’ marmi et altre pietre, fu fatto il sepolcro e gl’ornamenti di stucchi e di pietre cotte, e similmente la statua del Papa sopra la cassa, la quale è posta dietro al coro della detta chiesa. La quale opera finita, si ammalò Niccolò gravamente, e poco appresso si morì d’anni 67 e fu nella medesima chiesa sotterrato l’anno 1417. Et il suo ritratto fu fatto da Galasso ferrarese suo amicissimo, il quale dipigneva a que’ tempi in Bologna a concorrenza di Iacopo e Simone pittori bolognesi e d’un Cristofano, non so se ferrarese, o come altri dicono, da Modena; i quali tutti dipinsono, in una chiesa, detta la Casa di Mezzo, fuor della porta di S. Mammolo, molte cose a fresco. Cristofano fece da una banda da che Dio fa Adamo insino alla morte di Moisè, e Simone et Iacopo trenta storie, da che nasce Cristo insino alla cena che fece con i discepoli. E Galasso poi fece la Passione, come si vede al nome di ciascuno che vi è scritto da basso. E queste pitture furono fatte l’anno 1404. Dopo le quali fu dipinto il resto della chiesa, da altri maestri, di storie di Davitte re assai pulitamente. E nel vero queste così fatte pitture non sono tenute, se non a ragione, in molta stima dai Bolognesi, sì perchè come vecchie sono ragionevoli, e sì perchè il lavoro essendosi mantenuto fresco e vivace, merita molta lode. Dicono alcuni che il detto Galasso lavorò anco a olio, essendo vecchissimo, ma io nè in Ferrara nè in altro luogo, ho trovato altri lavori di suo, che a fresco. Fu discepolo di Galasso, Cosmè, che dipinse in S. Domenico di Ferrara una capella e gli sportelli che serrano l’organo del Duomo e molte altre cose che sono migliori che non furono le pitture di Galasso suo maestro. Fu Niccolò buon disegnatore, come si può vedere nel nostro libro, dove è di sua mano uno Evangelista e tre teste di cavallo, disegnate bene affatto.

FINE DELLA VITA DI NICCOLÒ ARETINO, etc.