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PARRI SPINELLI 293

dentro la città, nella chiesa di S. Agostino dentro al coro de’ frati, molte figure in fresco, che si conoscono alla maniera de’ panni et all’essere lunghe, svelte e torte, come si è detto di sopra. Nella chiesa di San Giustino dipinse in fresco nel tramezzo un S. Martino a cavallo, che si taglia un lembo della vesta per darlo a un povero, e due altri Santi. Nel Vescovado ancora, cioè nella facciata d’un muro, dipinse una Nunziata, che oggi è mezzo guasta per essere stata molti anni scoperta. Nella Pieve della medesima città dipinse la capella che è oggi vicina alla stanza dell’Opera, la quale dall’umidità è stata quasi del tutto rovinata. È stata grande veramente la disgrazia di questo povero pittore nelle sue opere, poichè quasi la maggior parte di quelle, o dall’umido o dalle rovine sono state consumate. In una colonna tonda di detta Pieve dipinse a fresco un S. Vincenzio, et in S. Francesco fece, per la famiglia de’ Viviani, intorno a una Madonna di mezzo rilievo, alcuni Santi, e sopra nell’arco, gli Apostoli che ricevono lo Spirito Santo, nella volta alcuni altri Santi, e da un lato Cristo con la croce in spalla, che versa dal costato sangue nel calice, et intorno a esso Cristo alcuni Angeli molto ben fatti. Dirimpetto a questa fece per la Compagnia degli Scarpellini, Muratori e Legnaiuoli nella loro capella de’ quattro Santi incoronati, una Nostra Donna, i detti Santi con gli strumenti di quelle arti in mano, e di sotto, pure in fresco, due storie de’ fatti loro e quando sono decapitati e gettati in mare. Nella quale opera sono attitudini e forze bellissime in coloro che si levano que’ corpi insaccati sopra le spalle per portargli al mare, vedendosi in loro prontezza e vivacità. Dipinse ancora in S. Domenico, vicino all’altar maggiore nella facciata destra, una Nostra Donna, S. Antonio e S. Niccolò a fresco, per la famiglia degl’Alberti da Catenaia, del qual luogo erano signori, prima che rovinato quello venissero ad abitare Arezzo e Firenze. E che siano una medesima cosa lo dimostra l’arme degl’uni e degl’altri, che è la medesima. Ben è vero che oggi quelli d’Arezzo, non degl’Alberti ma da Catenaia sono chiamati, e quelli di Firenze non da Catenaia ma degl’Alberti. E mi ricorda aver veduto, et anco letto, che la Badia del Sasso, la quale era nell’Alpe di Catenaia, e che oggi è rovinata e ridotta più a basso verso Arno, fu dagli stessi Alberti edificata alla Congregazione di Camaldoli, et oggi la possiede il monasterio degl’Angeli di Firenze, e la riconosce dalla detta famiglia che in Firenze è nobilissima. Dipinse Parri nell’udienza vecchia della Fraternità di S. Maria della Misericordia una Nostra Donna che ha sotto il manto il popolo d’Arezzo, nel quale ritrasse di naturale quelli che allora governavano quel luogo pio, con abiti indosso secondo l’usanze di que’ tempi. E fra essi uno chiamato Braccio, che oggi quando si parla di lui è chiamato Lazzaro ricco, il quale morì l’anno 1422, e lasciò tutte le sue ricchezze e facultà a quel luogo che le dispensa in servigio de’ poveri di Dio, essercitando le sante opere della misericordia con molta carità. Da un lato mette in mezzo questa Madonna S. Gregorio papa, e dall’altro S. Donato vescovo e protettore del popolo aretino. E perchè furono in questa opera benissimo serviti da Parri coloro che allora reggevano quella Fraternità, gli feciono fare in una tavola a tempera una Nostra Donna col Figliuolo in braccio, alcuni Angeli che gl’aprono il manto sotto il quale è il detto popolo, e da basso S. Laurentino e Pergentino martiri. La qual tavola si