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356 SECONDA PARTE

importi imitare le cose vere, e lo andarle togliendo dal proprio. Il che avendo egli fatto benissimo, ha dato cagione ai moderni di seguitarlo e di venire a quel grado sommo, dove si veggiono ne’ tempi nostri le cose. In questa medesima storia espresse efficacemente in una battaglia la paura, l’animosità, la destrezza, la forza e tutti gli altri affetti che in coloro si possono considerare che combattono, e gl’accidenti parimente, con una strage quasi incredibile di feriti, di cascati e di morti. Ne’ quali, per avere Pietro contrafatto in fresco l’armi che lustrano, merita lode grandissima, non meno che per aver fatto nell’altra faccia, dove è la fuga e la sommersione di Massenzio, un gruppo di cavagli in iscorcio, così maravigliosamente condotti, che rispetto a que’ tempi si possono chiamare troppo begli e troppo eccellenti. Fece in questa medesima storia uno mezzo ignudo e mezzo vestito alla saracina, sopra un cavallo secco molto ben ritrovato di notomia, poco nota nell’età sua. Onde meritò per questa opera da Luigi Bacci, il quale insieme con Carlo et altri suoi fratelli e molti Aretini che fiorivano allora nelle lettere quivi intorno alla decolazione d’un re ritrasse, essere largamente premiato e di essere, sì come fu poi, sempre amato e reverito in quella città, la quale aveva l’opere sue tanto illustrata. Fece anco nel Vescovado di detta città una S. Maria Madalena a fresco, allato alla porta della sagrestia; e nella Compagnia della Nunziata fece il segno da portare a processione; a S. Maria delle Grazie fuor della terra, in testa d’un chiostro, in una sedia tirata in prospettiva, un S. Donato in pontificale con certi putti; et in S. Bernardo, ai monaci di Monte Oliveto, un S. Vincenzio in una nicchia alta nel muro, che è molto dagl’artefici stimato. A Sargiano, luogo de’ frati Zoccolanti di S. Francesco, fuor d’Arezzo, dipinse in una cappella un Cristo che di notte òra nell’orto, bellissimo. Lavorò ancora in Perugia molte cose che in quella città si veggiono: come nella chiesa delle donne di S. Antonio da Padoa, in una tavola a tempera, una Nostra Donna col Figliuolo in grembo, San Francesco, S. Lisabetta, S. Giovanbattista e S. Antonio da Padoa; e di sopra una Nunziata bellissima, con un Angelo che par proprio che venga dal cielo, e, che è più, una prospettiva di colonne che diminuiscono, bella affatto. Nella predella, in istorie di figure piccole, è S. Antonio che risuscita un putto; S. Lisabetta che salva un fanciullo cascato in un pozzo e S. Francesco che riceve le stìmate. In S. Ciriaco d’Ancona, all’altare di S. Giuseppo, dipinse in una storia bellissima lo sposalizio di Nostra Donna. Fu Piero, come si è detto, studiosissimo dell’arte e si esercitò assai nella prospettiva, et ebbe bonissima cognizione d’Euclide in tanto che tutti i miglior giri tirati ne’ corpi regolari, egli meglio che altro geometra intese, et i maggior lumi che di tal cosa ci siano, sono di sua mano; per che Maestro Luca dal Borgo, frate di S. Francesco che scrisse de’ corpi regolari di geometria, fu suo discepolo. E venuto Piero in vecchiezza et a morte doppo aver scritto molti libri, maestro Luca detto, usurpandogli per se stesso, gli fece stampare come suoi, essendogli pervenuti quelli alle mani, dopo la morte del maestro. Usò assai Piero di far modelli di terra et a quelli metter sopra panni molli con infinità di pieghe, per ritrarli e servirsene. Fu discepolo di Piero, Lorentino d’Angelo aretino, il quale, imitando la sua maniera, fece in Arezzo molte