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386 SECONDA PARTE

lo fece frate nel sopra detto convento del Carmine, dove standosi, quanto era destro et ingenioso nelle azzioni di mano, tanto era nella erudizione delle lettere grosso e male atto ad imparare, onde non volle applicarvi lo ingegno mai, nè averle per amiche. Questo putto, il quale fu chiamato col nome del secolo Filippo, essendo tenuto con gl’altri in noviziato e sotto la disciplina del maestro della gramatica, pur per vedere quello che sapesse fare, in cambio di studiare non faceva mai altro che imbrattare con fantocci i libri suoi e degl’altri. Onde il priore si risolvette a dargli ogni commodità et agio d’imparare a dipignere. Era allora nel Carmine la cappella da Masaccio nuovamente stata dipinta, la quale, perciò che bellissima era, piaceva molto a fra’ Filippo; laonde ogni giorno per suo diporto la frequentava e quivi esercitandosi del continovo in compagnia di molti giovani che sempre vi disegnavano, di gran lunga gl’altri avanzava di destrezza e di sapere, di maniera che e’ si teneva per fermo che e’ dovesse fare col tempo qualche maravigliosa cosa. Ma negl’anni acerbi, nonchè ne’ maturi, tante lodevoli opere fece che fu un miracolo. Perchè di lì a poco tempo lavorò di verde terra nel chiostro vicino alla sagra di Masaccio, un papa che conferma la Regola de’ Carmelitani, et in molti luoghi in chiesa in più pareti, in fresco dipinse, e particolarmente un San Giovanni Batista et alcune storie della sua vita; e così ogni giorno facendo meglio, aveva preso la mano di Masaccio, sì che le cose sue in modo simili a quelle faceva che molti dicevano lo spirito di Masaccio era entrato nel corpo di fra’ Filippo. Fece in un pilastro in chiesa la figura di San Marziale presso all’organo, la quale gli arrecò infinita fama, potendo stare a paragone con le cose che Masaccio aveva dipinte. Per il che sentitosi lodar tanto per il grido d’ognuno, animosamente si cavò l’abito, d’età d’anni XVII. E trovandosi nella Marca d’Ancona, diportandosi un giorno con certi amici suoi in una barchetta per mare, furono tutti insieme dalle fuste de’ Mori, che per quei luoghi scorrevano, presi e menati in Barberia, e messo ciascuno di loro alla catena e tenuto schiavo, dove stette con molto disagio per XVIII mesi. Ma perchè un giorno, avendo egli molto in pratica il padrone, gli venne commodità e capriccio di ritrarlo, preso un carbone spento del fuoco, con quello tutto intero lo ritrasse co’ suoi abiti indosso alla moresca, in un muro bianco; onde, essendo dagli altri schiavi detto questo al padrone, perchè a tutti un miracolo pareva, non s’usando il disegno nè la pittura in quelle parti, ciò fu causa della sua liberazione dalla catena dove per tanto tempo era stato tenuto. Veramente è gloria di questa virtù grandissima, che uno a cui è conceduto per legge di poter condennare e punire, faccia tutto il contrario, anzi in cambio di supplicio e di morte, s’induca a far carezze e dare libertà. Avendo poi lavorato alcune cose di colore al detto suo padrone, fu condotto sicuramente a Napoli, dove egli dipinse al re Alfonso, allora Duca di Calavria, una tavola a tempera nella cappella del castello dove oggi sta la guardia. Appresso gli venne volontà di ritornare a Fiorenza dove dimorò alcuni mesi; e lavorò alle donne di S. Ambruogio all’altare maggiore una bellissima tavola, la quale molto grato lo fece a Cosimo de’ Medici, che per questa cagione divenne suo amicissimo. Fece anco nel capitolo di Santa Croce una tavola, et un’altra che fu posta nella cappella in casa