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388 SECONDA PARTE

certamente egli con maravigliosa grazia lavorò, e finitissimamente unì le cose sue, per le quali sempre dagli artefici in pregio e da’ moderni maestri è stato con somma lode celebrato; et ancora mentre che l’eccellenza di tante sue fatiche la voracità del tempo terrà vive, sarà da ogni secolo avuto in venerazione. In Prato ancora vicino a Fiorenza dove aveva alcuni parenti, in compagnia di fra’ Diamante del Carmine, stato suo compagno e novizio insieme, dimorò molti mesi lavorando per tutta la terra assai cose. Essendogli poi, dalle monache di Santa Margherita, data a fare la tavola dell’altar maggiore, mentre vi lavorava gli venne un giorno veduta una figliuola di Francesco Buti cittadin fiorentino, la quale o in serbanza o per monaca era quivi. Fra’ Filippo dato l’occhio alla Lucrezia, che così era il nome della fanciulla, la quale aveva bellissima grazia et aria, tanto operò con le monache che ottenne di farne un ritratto, per metterlo in una figura di Nostra Donna per l’opra loro; e con questa occasione innamoratosi maggiormente, fece poi tanto per via di mezzi e di pratiche, che egli sviò la Lucrezia da le monache e la menò via il giorno appunto ch’ella andava a vedere mostrar la cintola di Nostra Donna, onorata reliquia di quel castello. Di che le monache molto per tal caso furono svergognate, e Francesco suo padre non fu mai più allegro e fece ogni opera per riaverla, ma ella o per paura o per altra cagione, non volle mai ritornare, anzi starsi con Filippo il quale n’ebbe un figliuol maschio, che fu chiamato Filippo egli ancora, e fu poi, come il padre, molto eccellente e famoso pittore. In S. Domenico di detto Prato sono due tavole, et una Nostra Donna nella chiesa di S. Francesco nel tramezzo, il quale levandosi di dove prima era, per non guastarla, tagliarono il muro dove era dipinto, et allacciatolo con legni attorno lo trasportarono in una parete della chiesa dove si vede ancora oggi. E nel Ceppo di Francesco di Marco, sopra un pozzo in un cortile, è una tavoletta di man del medesimo col ritratto di detto Francesco di Marco, autore e fondatore di quella casa pia. E nella pieve di detto castello fece in una tavolina sopra la porta del fianco, salendo le scale, la morte di S. Bernardo, che rende la sanità, toccando la bara, a molti storpiati; dove sono frati che piangono il loro morto maestro, ch’è cosa mirabile a vedere le belle arie di teste, nella mestizia del pianto con arteficio e naturale similitudine contrafatte. Sonvi alcuni panni di cocolle di frati che hanno bellissime pieghe e meritano infinite lodi, per lo buon disegno, colorito, componimento e per la grazia e proporzione, che in detta opra si vede, condotta dalla delicatissima mano di fra’ Filippo. Gli fu allogato dagli Operai della detta pieve per avere memoria di lui, la cappella dello altar maggiore di detto luogo, dove mostrò tanto del valor suo in questa opera ch’oltra la bontà e l’arteficio di essa, vi sono panni e teste mirabilissime. Fece in questo lavoro le figure maggiori del vivo, dove introdusse poi negli altri artefici moderni il modo di dar grandezza, alla maniera d’oggi. Sonvi alcune figure con abbigliamenti in quel tempo poco usati, dove cominciò a destare gli animi delle genti a uscire di quella semplicità che più tosto vecchia che antica si può nominare. In questo lavoro sono le storie di S. Stefano, titolo di detta pieve, partite nella faccia della banda destra, cioè la disputazione, lapidazione e morte di detto protomartire; nella faccia del quale disputante contra i Giudei dimostrò tanto