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414 SECONDA PARTE

in buona forma, facendovi intorno intorno un ordine di botteghe utili e molto commode e belle. Ristaurò appresso e rifondò la chiesa di S. Francesco della detta terra, che andava in rovina; a Gualdo rifece si può dir di nuovo, con l’aggiunta di belle e buone fabriche, la chiesa di San Benedetto; in Ascesi, la chiesa di S. Francesco, che in certi luoghi era rovinata et in certi altri minacciava rovina, rifondò gagliardamente e ricoperse; a Civitavecchia fece molti belli e magnifici edifizii; a Civita Castellana rifece meglio che la terza parte delle mura, con buon garbo; a Narni rifece et ampliò di belle e buone muraglie, la fortezza; a Orvieto fece una gran fortezza con un bellissimo palazzo, opera di grande spesa e non minore magnificenza; a Spoleti similmente accrebbe e fortificò la fortezza, facendovi dentro abitazioni tanto belle e tanto commode e bene intese, che non si poteva veder meglio. Rassettò i Bagni di Viterbo con gran spesa e con animo regio, facendovi abitazioni, che non solo per gl’amalati che giornalmente andavano a bagnarsi sarebbono state recipienti, ma ad ogni gran prencipe. Tutte queste opere fece il detto Pontefice col disegno di Bernardo, fuori della città. In Roma ristaurò et in molti luoghi rinovò le mura della città, che per la maggior parte erano rovinate, aggiugnendo loro alcune torri e comprendendo in queste una nuova fortificazione, che fece a Castel S. Angelo di fuora, e molte stanze et ornamenti che fece dentro. Parimente aveva il detto Pontefice in animo, e la maggior parte condusse a buon termine, di restaurare e riedificare, secondo che più avevano di bisogno, le quaranta chiese delle stazioni già institute da San Gregorio Primo, che fu chiamato per sopranome Grande. Così restaurò S. Maria Trastevere, S. Prasedia, S. Teodoro, S. Piero in Vincula, e molte altre delle minori. Ma con maggiore animo ornamento e diligenza fece questo in sei delle sette maggiori e principali, cioè: S. Giovanni Laterano, S. Maria Maggiore, S. Stefano in Celio Monte, S. Apostolo, S. Paolo e S. Lorenzo extra muros; non dico di S. Piero, perchè ne fece impresa a parte. Il medesimo ebbe animo di ridurre in fortezza e fare come una città appartata il Vaticano tutto; nella quale disegnava tre vie che si dirizzavano a S. Piero, credo dove è ora Borgo Vecchio e Nuovo, le quali copriva di loggie di qua e di là con botteghe commodissime, separando l’arti più nobili e più ricche dalle minori, e mettendo insieme ciascuna in una via da per sè; e già aveva fatto il torrione tondo che si chiama ancora il Torrione di Nicola. E sopra quelle botteghe e loggie venivano case magnifiche e commode, e fatte con bellissima architettura et utilissima, essendo disegnate in modo che erano difese e coperte da tutti que’ venti, che sono pestiferi in Roma, e levati via tutti gl’impedimenti o d’acque o di fastidii che sogliono generar mal’aria. E tutto averebbe finito, ogni poco più che gli fusse stato conceduto di vita il detto Pontefice, il quale era d’animo grande e risoluto, et indendeva tanto, che non meno guidava e reggeva gl’artefici, che eglino lui. La qual cosa fa che le imprese grandi si conducono facilmente a fine, quando il padrone intende da per sè, e come capace può risolvere subito; dove uno irresoluto et incapace nello star fra il sì e il no, fra varii disegni et openioni, lascia passar molte volte inutilmente il tempo senz’operare. Ma di questo disegno di Nicola non accade