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ANDREA MANT. 491

motto. Finita l’opera, il Papa con onorevoli premii e molto favore lo rimandò al duca. Mentre che Andrea stette a lavorare in Roma, oltre la detta capella, dipinse in un quadretto piccolo una Nostra Donna col Figliuolo in collo che dorme, e nel campo, che è una montagna, fece dentro a certe grotte alcuni scarpellini che cavano pietre per diversi lavori, tanto sottilmente e con tanta pacienza, che non par possibile che con una sottil punta di pennello si possa far tanto bene; il qual quadro è oggi appresso lo illustrissimo signor don Francesco Medici, principe di Fiorenza, il quale lo tiene fra le sue cose carissime. Nel nostro libro è in un mezzo foglio reale un disegno di mano d’Andrea, finito di chiaro scuro, nel quale è una Iudith che mette nella tasca d’una sua schiava mora la testa d’Oloferne, fatto d’un chiaro scuro non più usato, avendo egli lasciato il foglio bianco che serve per il lume della biacca tanto nettamente, che vi si veggiono i capegli sfilati e l’altre sottigliezze, non meno che se fussero stati con molta diligenza fatti dal pennello. Onde si può in un certo modo chiamar questo più tosto opera colorita che carta disegnata. Si dilettò il medesimo, sì come fece il Pollaiuolo, di far stampe di rame, e fra l’altre cose fece i suoi trionfi, e ne fu allora tenuto conto perchè non si era veduto meglio. E fra l’ultime cose che fece fu una tavola di pittura a S. Maria della Vittoria, chiesa fabbricata con ordine e disegno d’Andrea dal Marchese Francesco, per la vittoria avuta in sul fiume del Taro, essendo egli generale del campo de’ Vineziani contra a’ Francesi: nella quale tavola che fu lavorata a tempera e posta all’altar maggiore, è dipinta la Nostra Donna col putto a sedere sopra un piedestallo; e da basso sono S. Michelagnolo, S. Anna e (San) Gioachino, che presentano esso Marchese, ritratto di naturale tanto bene che par vivo, alla Madonna che gli porge la mano. La quale come piacque e piace a chiunche la vide, così sodisfece di maniera al Marchese, che egli liberalissimamente premiò la virtù e fatica d’Andrea, il quale potè, mediante l’essere stato riconosciuto dai principi di tutte le sue opere, tenere infinito all’ultimo onoratamente il grado di cavaliere. Furono concorrenti d’Andrea Lorenzo da Lendinara, il quale fu tenuto in Padova pittore eccellente e lavorò anco di terra alcune cose nella chiesa di S. Antonio, et alcuni altri di non molto valore. Amò egli sempre Dario da Trevisi e Marco Zoppo bolognese, per essersi allevato con esso loro sotto la disciplina dello Squarcione. Il qual Marco fece in Padova ne’ frati minori una loggia che serve loro per capitolo; et in Pesero una tavola che è oggi nella chiesa nuova di S. Giovanni Evangelista; e ritrasse in uno quadro Guido Baldo da Monte Feltro, quando era capitano de’ Fiorentini. Fu similmente amico del Mantegna Stefano pittor ferrarese, che fece poche cose, ma ragionevoli; e di sua mano si vede in Padoa l’ornamento dell’arca di S. Antonio, e la Vergine Maria che si chiama del pilastro. Ma per tornare a esso Andrea, egli murò in Mantoa e dipinse per uso suo una bellissima casa, la quale si godette mentre visse. E finalmente d’anni 66, si morì nel 1517. E con esequie onorate fu sepolto in S. Andrea, et alla sua sepoltura, sopra la quale egli è ritratto di bronzo, fu posto questo epitaffio:

Esse parem hunc noris, si non praeponis Apelli, Aenea Mantineae, qui simulacra vides.