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mentre che visse, così per memoria di Raffaello statogli amicissimo, come per la dignità et eccellenza dell’opera. Ma capitò poi male quest’opera l’anno 1548 a dì 17 novembre, quando la casa di Lorenzo insieme con quelle ornatissime e belle degl’eredi di Marco del Nero, per uno smottamento del Monte di San Giorgio rovinarono insieme con altre case vicine. Nondimeno, ritrovati i pezzi d’essa fra i calcinacci della rovina, furono da Batista, figliuolo di esso Lorenzo, amorevolissimo dell’arte, fatti rimettere insieme in quel miglior modo che si potette. Dopo queste opere fu forzato Raffaello a partirsi di Firenze et andare a Urbino, per avere là, essendo la madre e Giovanni suo padre morti, tutte le sue cose in abandono. Mentre che dunque dimorò in Urbino, fece per Guidobaldo da Montefeltro, allora capitano de’ Fiorentini, due quadri di Nostra Donna piccoli, ma bellissimi e della seconda maniera. I quali sono oggi appresso lo illustrissimo et eccellentissimo Guidobaldo, Duca d’Urbino. Fece al medesimo un quadretto d’un Cristo che ora nell’orto e, lontani alquanto, i tre Apostoli che dormono. La qual pittura è tanto finita che un minio non può essere né migliore né altrimenti. Questa, essendo stata gran tempo appresso Francesco Maria, Duca d’Urbino, fu poi dalla illustrissima signora Leonora, sua consorte, donata a don Paulo Iustiniano e don Pietro Quirini viniziani e romiti del sacro eremo di Camaldoli, e da loro fu poi come reliquia e cosa rarissima, et insomma di mano di Raffaello da Urbino e per memoria di quella illustrissima signora, posta nella camera del Maggiore di detto Eremo, dove è tenuta in quella venerazione ch’ella merita. Dopo queste opere et avere accomodate le cose sue, ritornò Raffaello a Perugia, dove fece nella chiesa de’ frati de’ Servi in una tavola alla cappella degl’Ansidei una Nostra Donna, San Giovanni Battista e San Nicola. Et in San Severo della medesima città, piccol monasterio dell’Ordine di Camaldoli, alla cappella della Nostra Donna, fece in fresco un Cristo in gloria, un Dio Padre con alcuni Angeli a torno e sei Santi a sedere, cioè tre per banda: San Benedetto, San Romualdo, San Lorenzo, San Girolamo, San Mauro e San Placido; et in questa opera, la quale per cosa in fresco fu allora tenuta molto bella, scrisse il nome suo in lettere grandi e molto bene apparenti. Gli fu anco fatto dipignere nella medesima città, dalle donne di Santo Antonio da Padoa, in una tavola la Nostra Donna et in grembo a quella, sì come piacque a quelle semplici e venerande donne, Gesù Cristo vestito, e dai lati di essa Madonna San Piero, San Paulo, Santa Cecilia e Santa Caterina. Alle qual due Sante vergini fece le più belle e dolci arie di teste e le più varie acconciature da capo, il che fu cosa rara in que’ tempi, che si possino vedere. E sopra questa tavola in un mezzo tondo dipinse un Dio Padre bellissimo e nella predella dell’altare tre storie di figure piccole: Cristo quando fa orazione nell’orto; quando porta la Croce, dove sono bellissime movenze di soldati che lo stracinano, e quando è morto in grembo alla Madre: opera certo mirabile, devota e tenuta da quelle donne in gran venerazione e da tutti i pittori molto lodata. Né tacerò, che si conobbe, poi che fu stato a Firenze, che egli variò et abbellì tanto la maniera, mediante l’aver vedute molte cose e di mano di maestri eccellenti, che ella non aveva che fare alcuna cosa con quella prima se non come fussino di mano di diversi e