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come merita la virtù sua e l’obligo nostro, tenerne nell’animo graziosissimo ricordo e farne con la lingua sempre onoratissima memoria. Che invero noi abbiamo per lui l’arte, i colori e la invenzione unitamente ridotti a quella fine e perfezzione che appena si poteva sperare, né di passar lui già mai si pensi spirito alcuno. Et oltre a questo beneficio che e’ fece all’arte, come amico di quella, non restò vivendo mostrarci come si negozia con gli uomini grandi, co’ mediocri e con gl’infimi. E certo fra le sue doti singulari ne scorgo una di tal valore che in me stesso stupisco: che il cielo gli diede forza di poter mostrare ne l’arte nostra uno effetto sì contrario alle complessioni di noi pittori; questo è che naturalmente gli artefici nostri, non dico solo i bassi, ma quelli che hanno umore d’esser grandi (come di questo umore l’arte ne produce infiniti), lavorando ne l’opere in compagnia di Raffaello stavano uniti e di concordia tale che tutti i mali umori nel veder lui si amorzavano et ogni vile e basso pensiero cadeva loro di mente. La quale unione mai non fu più in altro tempo che nel suo. E questo avveniva perché restavano vinti dalla cortesia e dall’arte sua, ma più dal genio della sua buona natura. La quale era sì piena di gentilezza e sì colma di carità, che egli si vedeva che fino agli animali l’onoravano, non che gli uomini. Dicesi che ogni pittore che conosciuto l’avesse, et anche chi non lo avesse conosciuto, se lo avessi richiesto di qualche disegno che gli bisognasse, egli lasciava l’opera sua per sovvenirlo. E sempre tenne infiniti in opera, aiutandoli et insegnandoli con quello amore che non ad artifici, ma a figliuoli proprii si conveniva. Per la qual cagione si vedeva che non andava mai a corte che partendo di casa non avesse seco cinquanta pittori tutti valenti e buoni che gli facevono compagnia per onorarlo. Egli insomma non visse da pittore, ma da principe: per il che o arte della pittura, tu pur ti potevi allora stimare felicissima avendo un tuo artefice che di virtù e di costumi t’alzava sopra il cielo; beata veramente ti potevi chiamare, da che per l’orme di tanto uomo, hanno pur visto gli allievi tuoi come si vive e che importi l’avere accompagnato insieme arte e virtute; le quali in Raffaello congiunte, potettero sforzare la grandezza di Giulio II e la generosità di Leone X nel sommo grado e degnità che egli erono a farselo familiarissimo et usarli ogni sorte di liberalità, tal che poté col favore e con le facultà che gli diedero fare a sé et a l’arte grandissimo onore. Beato ancora si può dire chi stando a’ suoi servigi sotto lui operò, perché ritrovo chiunche che lo imitò essersi a onesto porto ridotto e così quegli che imiteranno le sue fatiche nell’arte saranno onorati dal mondo e, ne’ costumi santi lui somigliando, remunerati dal cielo. Ebbe Raffaello dal Bembo questo epitaffio:
D.O.M. RAPHAEL SANCTIO IOANNIS FILIO URBINATI PICTORI EMINENTISSIMO VETERUMQUE AEMULO CUIUS SPIRANTEIS PROPE IMAGINEIS SI CONTEMPLERE NATURAE ATQUE ARTIS FOEDUS FACILE INSPEXERIS IULII II ET LEONIS X PONTT MAXX. PICTURAE ET ARCHITECTURAE OPERIBUS GLORIAM AUXIT VIXIT ANNOS XXXVII INTEGER INTEGROS QUO DIE NATUS EST EO ESSE DESIIT VIII D APRILIS MDXX. ILLE HIC EST RAPHAEL, TIMUIT QUO SOSPITE VINCI RERUM MAGNA PARENS, ET MORIENTE MORI.
Et il conte Baldassarre Castiglione scrisse de la sua morte i