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ma aveva ben trattenuto la cosa, con dire di volere aspettare che passassero tre o quattro anni; il quale termine venuto, quando Raffaello non se l’aspettava, gli fu dal cardinale ricordata la promessa et egli vedendosi obligato, come cortese non volle mancare della parola sua e così accettò per donna una nipote di esso cardinale. E perché sempre fu malissimo contento di questo laccio, andò in modo mettendo tempo in mezzo, che molti mesi passarono, che ’l matrimonio non consumò. E ciò faceva egli non senza onorato proposito. Perché, avendo tanti anni servito la corte et essendo creditore di Leone di buona somma, gli era stato dato indizio che alla fine della sala, che per lui si faceva, in ricompensa delle fatiche e delle virtù sue, il Papa gli avrebbe dato un capello rosso, avendo già deliberato di farne un buon numero e fra essi qualcuno di manco merito che Raffaello non era. Il quale Raffaello, attendendo in tanto a’ suoi amori così di nascosto, continuò fuor di modo i piaceri amorosi, onde avvenne ch’una volta fra l’altre disordinò più del solito; perché tornato a casa con una grandissima febbre, fu creduto da’ medici che fosse riscaldato; onde, non confessando egli il disordine che aveva fatto, per poca prudenza, loro gli cavarono sangue; di maniera che indebilito si sentiva mancare, là dove egli aveva bisogno di ristoro. Perché fece testamento e prima come cristiano mandò l’amata sua fuor di casa e le lasciò modo di vivere onestamente; dopo divise le cose sue fra’ discepoli suoi: Giulio Romano, il quale sempre amò molto, Giovan Francesco Fiorentino detto il Fattore, et un non so chi prete da Urbino suo parente. Ordinò poi che delle sue facultà in Santa Maria Ritonda si restaurasse un tabernacolo di quegli antichi di pietre nuove et uno altare si facesse con una statua di Nostra Donna di marmo, la quale per sua sepoltura e riposo dopo la morte s’elesse; e lasciò ogni suo avere a Giulio e Giovan Francesco, faccendo essecutore del testamento Messer Baldassarre da Pescia, allora datario del Papa. Poi confesso e contrito finì il corso della sua vita il giorno medesimo che nacque, che fu il venerdì santo d’anni XXXVII, l’anima del quale è da credere che come di sue virtù ha abbellito il mondo, così abbia di sé medesima adorno il cielo. Gli misero alla morte al capo nella sala, ove lavorava, la tavola della Trasfigurazione che aveva finita per il cardinale de’ Medici, la quale opera nel vedere il corpo morto e quella viva, faceva scoppiare l’anima di dolore a ogni uno che quivi guardava. La quale tavola per la perdita di Raffaello fu messa dal cardinale a San Pietro a Montorio allo altar maggiore; e fu poi sempre per la rarità d’ogni suo gesto in gran pregio tenuta. Fu data al corpo suo quella onorata sepoltura che tanto nobile spirito aveva meritato, perché non fu nessuno artefice che dolendosi non piagnesse et insieme alla sepoltura non l’accompagnasse. Dolse ancora sommamente la morte sua a tutta la corte del Papa, prima per avere egli avuto in vita uno officio di cubiculario et appresso per essere stato sì caro al Papa che la sua morte amaramente lo fece piagnere. O felice e beata anima, da che ogn’uomo volentieri ragiona di te e celebra i gesti tuoi et ammira ogni tuo disegno lasciato. Ben poteva la pittura, quando questo nobile artefice morì, morire anche ella che quando egli gli occhi chiuse, ella quasi cieca rimase. Ora a noi che dopo lui siamo rimasi, resta imitare il buono, anzi ottimo modo, da lui lasciatoci in esempio e