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come nel colorito; e, mescolando col detto modo alcuni altri scelti delle cose migliori d’altri maestri, fece di molte maniere una sola che fu poi sempre tenuta sua propria, la quale fu e sarà sempre stimata dagl’artefici infinitamente. E questa si vide perfetta poi nelle Sibille e ne’ Profeti dell’opera che fece, come si è detto, nella Pace. Al fare della quale opera gli fu di grande aiuto l’aver veduto nella capella del papa l’opera di Michelagnolo. E se Raffaello si fusse in questa sua detta maniera fermato, né avesse cercato di aggrandirla e variarla, per mostrare che egli intendeva gl’ignudi così bene come Michelagnolo, non si sarebbe tolto parte di quel buon nome che acquistato si aveva; perciò che gli ignudi che fece nella camera di Torre Borgia, dove è l’incendio di Borgo Nuovo, ancora che siano buoni, non sono in tutto eccellenti. Parimente non sodisfeciono affatto quelli che furono similmente fatti da lui nella volta del palazzo d’Agostin Chigi in Trastevere, perché mancano di quella grazia e dolcezza che fu propria di Raffaello; del che fu anche in gran parte cagione l’avergli fatto colorire ad altri col suo disegno. Dal quale errore ravedutosi, come giudizioso, volle poi lavorare da sé solo, e senza aiuto d’altri, la tavola di San Pietro a Montorio della Trasfigurazione di Cristo; nella quale sono quelle parti, che già s’è detto, che ricerca e debbe avere una buona pittura. E se non avesse in questa opera, quasi per capriccio, adoperato il nero di fumo da stampatori, il quale, come più volte si è detto, di sua natura diventa sempre col tempo più scuro et offende gl’altri colori coi quali è mescolato, credo che quell’opera sarebbe ancor fresca come quando egli la fece, dove oggi pare più tosto tinta che altrimenti. Ho voluto quasi nella fine di questa vita fare questo discorso per mostrare con quanta fatica, studio e diligenza si governasse sempremai questo onorato artefice; e particolarmente per utile degl’altri pittori, acciò si sappiano difendere da quelli impedimenti dai quali seppe la prudenza e virtù di Raffaello difendersi. Aggiugnerò ancor questo: che doverebbe ciascuno contentarsi di fare volentieri quelle cose alle quali si sente da naturale instinto inclinato e non volere por mano, per gareggiare, a quello che non gli vien dato dalla natura, per non faticare invano e spesso con vergogna e danno. Oltre ciò quando basta il fare non si dee cercare di volere strafare per passare innanzi a coloro che, per grande aiuto di natura e per grazia particolare data loro da Dio, hanno fatto o fanno miracoli nell’arte. Perciò che chi non è atto a una cosa non potrà mai, et affatichisi quanto vuole, arivare dove un altro con l’aiuto della natura è caminato agevolmente. E ci sia, per esempio, fra i vecchi Paulo Ucello, il quale, affaticandosi contra quello che poteva per andare inanzi, tornò sempre indietro. Il medesimo ha fatto ai giorni nostri, e poco fa, Iacopo da Puntormo. E si è veduto per isperienza in molti altri, come si è detto e come si dirà. E ciò forse avviene perché il cielo va compartendo le grazie, acciò stia contento ciascuno a quella che gli tocca. Ma avendo oggimai discorso sopra queste cose dell’arte, forse più che bisogno non era, per ritornare alla vita e morte di Raffaello dico che, avendo egli stretta amicizia con Bernardo Divizio cardinale di Bibbiena, il cardinale l’aveva molti anni infestato per dargli moglie e Raffaello non aveva espressamente ricusato di fare la voglia del cardinale,