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veduto fare a Pietro suo maestro, aiutandogli con quella grazia che aveva dalla natura. Datosi dunque allo studiare gl’ignudi et a riscontrare i musculi delle notomie e degl’uomini morti e scorticati con quelli de’ vivi, che per la coperta della pelle non appariscono terminati nel modo che fanno levata la pelle, e veduto poi in che modo si facciano carnosi e dolci ne’ luoghi loro e come nel girare delle vedute si facciano con grazia certi storcimenti, e parimente gl’effetti del gonfiare et abbassare et alzare o un membro o tutta la persona, et oltre ciò l’incatenatura dell’ossa, de’ nervi e delle vene; si fecce eccellente in tutte le parti che in uno ottimo dipintore sono richieste. Ma, conoscendo nondimeno che non poteva in questa parte arrivare alla perfezzione di Michelagnolo, come uomo di grandissimo giudizio, considerò che la pittura non consiste solamente in fare uomini nudi, ma che ell’ha il campo largo e che fra i perfetti dipintori si possono anco coloro annoverare che sanno esprimere bene e con facilità l’invenzioni delle storie et i loro capricci con bel giudizio e che nel fare i componimenti delle storie chi sa non confonderle col troppo et anco farle non povere col poco, ma con bella invenzione et ordine accomodarle, si può chiamare valente e giudizioso artefice. A questo, sì come bene andò pensando Raffaello, s’aggiugne lo arrichirle con la varietà e stravaganza delle prospettive, de’ casamenti e de’ paesi, il leggiadro modo di vestire le figure, il fare che elle si perdino alcuna volta nello scuro et alcuna volta venghino innanzi col chiaro; il fare vive e belle le teste delle femmine, de’ putti, de’ giovani e de’ vecchi e dar loro, secondo il bisogno, movenza e bravura. Considerò anco quanto importi la fuga de’ cavalli nelle battaglie, la fierezza de’ soldati, il saper fare tutte le sorti d’animali e sopra tutto il far in modo nei ritratti somigliar gl’uomini che paino vivi e si conoschino per chi eglino sono fatti et altre cose infinite, come sono abigliamenti di panni, calzari, celate, armadure, acconciature, di femmine, capegli, barbe, vasi, alberi, grotte, sassi, fuochi, arie torbide e serene, nuvoli, pioggie, saette, sereni, notte, lumi di luna, splendori di sole et infinite altre cose, che seco portano ognora i bisogni dell’arte della pittura. Queste cose, dico, considerando Raffaello, si risolvé, non potendo aggiungere Michelagnolo in quella parte dove egli aveva messo mano, di volerlo in queste altre pareggiare e forse superarlo; e così si diede, non ad imitare la maniera di colui, per non perdervi vanamente il tempo, ma a farsi un ottimo universale in queste altre parti che si sono raccontate. E se così avessero fatto molti artefici dell’età nostra che, per aver voluto seguitare lo studio solamente delle cose di Michelagnolo, non hanno imitato lui, né potuto aggiugnere a tanta perfezzione, eglino non arebbono faticato in vano, né fatto una maniera molto dura, tutta piena di difficultà, senza vaghezza, senza colorito e povera d’invenzione, là dove arebbono potuto cercando d’essere universali e d’imitare l’altre parti, essere stati a se stessi et al mondo di giovamento. Raffaello adunque, fatta questa risoluzione e conosciuto che fra’ Bartolomeo di San Marco aveva un assai buon modo di dipignere, disegno ben fondato et una maniera di colorito piacevole, ancor che talvolta usasse troppo gli scuri per dar maggior rilievo, prese da lui quello che gli parve secondo il suo bisogno e capriccio, cioè un modo mezzano di fare, così nel dissegno,