Pagina:Vasari - Le vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-1, 1568.djvu/189

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molto carezzato, con Tommaso Cambi, mercante fiorentino che governava le cose di quel signore. Ma non vi dimorò lungamente perché, essendo di mala complessione, ammalatosi vi si morì con incredibile dispiacere di quel signor Marchese e di chiunche lo conosceva. Ebbe costui un fratello, similmente dipintore, chiamato Luca, il quale lavorò in Genoa con Perino suo cognato et in Lucca et in molti altri luoghi d’Italia. E finalmente se n’andò in Inghilterra dove avendo alcune cose lavorato al re e per alcuni mercanti, si diede finalmente a far disegni per mandar fuori stampe di rame che si conoscono, oltre alla maniera, al nome suo: e fra l’altre è sua opera una carta, dove alcune femmine sono in un bagno, l’originale della quale di propria mano di Luca è nel nostro libro. Fu discepolo di Giovan Francesco Lionardo, detto il Pistoia per esser pistolese, il quale lavorò alcune cose in Lucca et in Roma fece molti ritratti di naturale; et in Napoli per il vescovo d’Ariano Diomede Caraffa, oggi cardinale, fece in San Domenico una tavola della lapidazione di Santo Stefano in una sua cappella. Et in Monte Oliveto ne fece un’altra, che fu posta all’altar maggiore, e levatane poi per dar luogo a un’altra di simile invenzione di mano di Giorgio Vasari aretino. Guadagnò Lionardo molti danari con que’ signori napoletani, ma ne fece poco capitale, perché se gli giocava di mano in mano. E finalmente si morì in Napoli, lasciando nome di essere stato buono coloritore, ma non già d’avere avuto molto buon disegno. Visse Giovan Francesco anni 40, e l’opere sue furono circa al 1528. Fu amico di Giovan Francesco e discepolo anch’egli di Raffaello, Pellegrino da Modana, il quale avendosi nella pittura acquistato nome di bello ingegno nella patria, deliberò, udite le maraviglie di Raffaello da Urbino, per corrispondere mediante l’affaticarsi alla speranza già conceputa di lui, andarsene a Roma; là dove, giunto, si pose con Raffaello, che niuna cosa negò mai agl’uomini virtuosi. Erano allora in Roma infiniti giovani che attendevano alla pittura et emulando fra loro cercavano l’uno l’altro avanzare nel disegno, per venire in grazia di Raffaello e guadagnarsi nome fra i popoli, per che attendendo continuamente Pellegrino agli studi, divenne, oltre al disegno, di pratica maestrevole nell’arte. E quando Leone Decimo fece dipignere le logge a Raffaello, vi lavorò anch’egli in compagnia degl’altri giovani e riuscì tanto bene che Raffaello si servì poi di lui in molte altre cose. Fece Pellegrino in Santo Eustachio di Roma, entrando in chiesa, tre figure in fresco a uno altare, e nella chiesa de’ Portughesi alla Scrofa la cappella dell’altare maggiore in fresco, insieme con la tavola. Dopo, avendo in San Iacopo della nazione spagnuola fatta fare il cardinale Alborense una cappella adorna di molti marmi, e da Iacopo Sansovino un San Iacopo di marmo alto quattro braccia e mezzo e molto lodato, Pellegrino vi dipinse in fresco le storie della vita di quello Apostolo, facendo alle figure gentilissima aria a immitazione di Raffaello suo maestro et avendo tanto bene accommodato tutto il componimento, che quell’opera fece conoscere Pellegrino per uomo desto e di bello e buono ingegno nella pittura. Finito questo lavoro, ne fece molti altri in Roma e da per sé et in compagnia. Ma venuto finalmente a morte