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280 TERZA PARTE

i legnaiuoli, di continuo maneggiandogli, diventano in ispazio di tempo architetti; e gli scultori similmente, per lo situare le statue loro, e per fare ornamenti a sepolture et altre cose tonde, col tempo l’intendono; et il pittore, per le prospettive e per la varietà dell’invenzioni, e per i casamenti da esso tirati, non può fare che le piante degl’edificii non faccia; attesoché non si pongono case né scale ne’ piani dove le figure posano, che la prima cosa non si tiri l’ordine e l’architettura. Lavorando dunque di rimessi Baccio nella sua giovanezza eccellentemente, fece le spalliere del coro di Santa Maria Novella nella capella maggiore, nella quale sono un San Giovanni Battista et un San Lorenzo bellissimi. D’intaglio lavorò l’ornamento della medesima capella e quello dell’altar maggiore della Nunziata, l’ornamento dell’organo di Santa Maria Novella et altre infinite cose, e publiche e private, nella sua patria Fiorenza. Della quale partendosi, andò a Roma, dove attese con molto studio alle cose d’architettura e, tornato, fece per la venuta di papa Leone Decimo, in diversi luoghi, archi trionfali di legname. Ma per tutto ciò non lasciando mai la bottega, vi dimoravano assai con esso lui, oltre a molti cittadini, i migliori e primi artefici dell’arte nostre; onde vi si facevano, massimamente la vernata, bellissimi discorsi e dispute d’importanza. Il primo di costoro era Raffaello da Urbino, allora giovane, e dopo Andrea Sansovino, Filippino, il Maiano, il Cronaca, Antonio e Giuliano Sangalli, il Granaccio, et alcuna volta, ma però di rado, Michelagnolo e molti giovani fiorentini e forestieri. Avendo adunque per sì fatta maniera atteso Baccio all’architettura, et avendo fatto di sé alcuno esperimento, cominciò a essere a Firenze in tanto credito, che le più magnifiche fabriche che al suo tempo si facessero, furono allogate a lui et egli fattone capo. Essendo gonfaloniere Piero Soderini, Baccio insieme col Cronaca et altri, come si è detto di sopra, si trovò alle deliberazzioni che si fecero della sala grande di palazzo; e di sua mano lavorò di legname l’ornamento della tavola grande, che abbozzò fra’ Bartolomeo, disegnato da Filippino. In compagnia de’ medesimi fece la scala che va in detta sala, con ornamento di pietra molto bello; e di mischio le colonne e porte di marmo della sala, che oggi si chiama de’ Dugento. Fece in sulla piazza di Santa Trinita un palazzo a Giovanni Bartolini, il quale è dentro molto adornato, e molti disegni per lo giardino del medesimo in Gualfonda. E perché fu il primo edifizio, quel palazzo, che fusse fatto con ornamento di finestre quadre, con frontispizii e con porta le cui colonne reggessino architrave, fregio e cornice, furono queste cose tanto biasimate dai fiorentini con parole, con sonetti e con appiccarvi filze di frasche, come si fa alle chiese per le feste, dicendosi che aveva più forma di facciata di tempio che di palazzo, che Baccio fu per uscir di cervello. Tuttavia, sapendo egli che aveva imitato il buono e che l’opera stava bene, se ne passò. Vero è che la cornice di tutto il palazzo riuscì, come si è detto in altro luogo, troppo grande, tuttavia l’opera è stata per altro sempre molto lodata. A Lanfredino Lanfredini fece fabricare lungo Arno la casa loro, che è fra il ponte a Santa Trinita et il ponte alla Carraia, e su la piazza de’ Mozzi cominciò, ma non finì, la casa de’ Nasi, che risponde in sul renaio d’Arno. Fece ancora la casa de’ Taddei, a Taddeo di quella famiglia, che fu tenuta commodissima e bella. Diede a Pierfrancesco Borgherini i disegni