Pagina:Vasari - Le vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-1, 1568.djvu/363

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ogni uomo il parere di quell’architetto, essendo stati dati nuovi ordini in contrario da Michelagnolo Buonarroti; per la quale riordinazione sono poi nate molte contese, come si dirà a suo luogo. Pareva a Michelagnolo, et a molti altri ancora che hanno veduto il modello del Sangallo e quello che da lui fu messo in opera, che il componimento d’Antonio venisse troppo sminuzzato dai risalti e dai membri, che sono piccoli, sì come anco sono le colonne, archi sopra archi e cornici sopra cornici. Oltre ciò pare che non piaccia che i due campanili che vi faceva, le quattro tribune piccole e la cupola maggiore, avessino quel finimento o vero ghirlanda di colonne molte e piccole; e parimente non piacevano molto, e non piacciono, quelle tante aguglie che vi sono per finimento, parendo che in ciò detto modello immiti più la maniera et opera tedesca, che l’antica e buona che oggi osservano gl’architetti migliori. Finito dall’Abaco tutti i detti modelli, poco dopo la morte d’Antonio, si trovò che detto modello di San Pietro costò (quanto apartiene solamente all’opere de’ legnaiuoli e legname) scudi quattromilacentoottantaquattro. Nel che fare Antonio Abaco, che n’ebbe cura, si portò molto bene, essendo molto intendente delle cose d’architettura, come ne dimostra il suo libro stampato delle cose di Roma, che è bellissimo. Il qual modello, che si truova oggi in San Piero nella cappella maggiore, è lungo palmi trentacinque e largo 26 et alto palmi venti e mezzo. Onde sarebbe venuta l’opera, secondo questo modello, lunga palmi 1040, cioè canne 104, e larga palmi 360, che sono canne 36, perciò che secondo la misura de’ muratori, la canna che corre a Roma è dieci palmi. Fu donato ad Antonio, per la fatica di questo suo modello e molti desegni fatti, dai deputati sopra la fabbrica di S. Pietro, scudi millecinquecento, de’ quali n’ebbe contanti mille et il restante non riscosse, essendo poco dopo tal opera passato all’altra vita. Ringrossò i pilastri della detta chiesa di S. Pietro, acciò il peso di quella tribuna posasse gagliardamente; e tutti i fondamenti sparsi empié di soda materia e fece in modo forti, che non è da dubitare che quella fabrica sia per fare più peli o minacciare rovina, come fece al tempo di Bramante. Il qual magisterio, se fusse sopra la terra, come è nascosto sotto, farebbe sbigottire ogni terribile ingegno. Per le quali cose la fama et il nome di questo mirabile artefice doverà aver sempre luogo fra i più rari intelletti. Trovasi che infino al tempo degl’antichi Romani sono stati e sono ancora, gl’uomini di Terni e quelli di Narni inimicissimi fra loro; perciò che il lago delle Marmora, alcuna volta tenendo in collo, faceva violenza all’uno de’ detti popoli: onde, quando quei di Narni lo vedevano aprire, i ternani in niun modo ciò volevano acconsentire; per lo che è sempre stato diffidenza fra loro, o abbiano governato Roma i pontefici, o sia stata soggetta agl’imperatori. Et al tempo di Cicerone fu egli mandato dal senato a comporre tal differenza, ma si rimase non risoluta. Laonde, essendo per questa medesima cagione l’anno 1546 mandati ambasciadori a papa Paulo Terzo, egli mandò loro Antonio a terminar quella lite. E così per giudizio di lui fu risoluto che il detto lago da quella banda dove è il muro dovesse sboccare; e lo fece Antonio con grandissima difficultà tagliare. Onde avenne, per lo caldo che era grande et altri disagi, essendo Antonio pur vecchio e cagionevole, che si ammalò di febre in Terni, e