Pagina:Vasari - Le vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-1, 1568.djvu/388

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ha mostrato come si possa dipignere sopra l’argento, rame, stagno et altri metalli. Quest’uomo aveva tanto piacere in stare ghiribizzando e ragionare, che si tratteneva i giorni interi per non lavorare. E quando pur vi si riduceva, si vedea che pativa dell’animo infinitamente; da che veniva in gran parte che egli aveva openione che le cose sue non si potessino con verun prezzo pagare. Fece per il cardinale d’Aragona, in un quadro, una bellissima S. Agata ignuda e martirizata nelle poppe, che fu cosa rara. Il qual quadro è oggi nella guardaroba del signor Guidobaldo duca d’Urbino, e non è punto inferiore a molti altri quadri bellissimi che vi sono di mano di Raffaello da Urbino, di Tiziano e d’altri. Ritrasse anche di naturale il signor Piero Gonzaga in una pietra, colorito a olio, che fu un bellissimo ritratto, ma penò tre anni a finirlo. Ora essendo in Firenze al tempo di papa Clemente Michelagnolo, il quale attendeva all’opera della nuova sagrestia di San Lorenzo, voleva Giuliano Bugiardini fare a Baccio Valori in un quadro la testa di papa Clemente et esso Baccio, et in un altro, per Messer Ottaviano de’ Medici, il medesimo Papa e l’arcivescovo di Capua; per che Michelagnolo, mandando a chiedere a fra’ Sebastiano che di sua mano gli mandasse da Roma dipinta a olio la testa del Papa, egli ne fece una e gliela mandò, che riuscì bellissima. Della quale, poi che si fu servito Giuliano e che ebbe i suoi quadri finiti, Michelagnolo, che era compare di detto Messere Ottaviano, gliene fece un presente. E certo di quante ne fece fra’ Sebastiano, che furono molte, questa è la più bella testa di tutte e la più simigliante, come si può vedere in casa gli eredi del detto Messer Ottaviano. Ritrasse il medesimo papa Paolo Farnese subito che fu fatto sommo pontefice; e cominciò il duca di Castro suo figliuolo, ma non lo finì, come non fece anche molte altre cose, alle quali avea dato principio. Aveva fra’ Sebastiano vicino al Popolo una assai buona casa, la quale egli si avea murata, et in quella con grandissima contentezza si vivea senza più curarsi di dipignere o lavorare, usando spesso dire che è una grandissima fatica avere nella vecchiezza a raffrenare i furori a’ quali nella giovanezza gli artefici per utilità, per onore e per gara si sogliono mettere; e che non era men prudenza cercare di viver quieto, che vivere con le fatiche inquieto per lasciare di sé nome dopo la morte, dopo la quale hanno anco quelle fatiche e l’opere tutte ad avere, quando che sia, fine e morte. E come egli queste cose diceva, così a suo potere le metteva in essecuzione, perciò che i migliori vini e le più preziose cose che avere si potessero cercò sempre d’avere per lo vitto suo, tenendo più conto della vita che dell’arte. E perché era amicissimo di tutti gli uomini virtuosi, spesso avea seco a cena il Molza e Messer Gandolfo, facendo bonissima cera. Fu ancora suo grandissimo amico Messer Francesco Berni fiorentino, che gli scrisse un capitolo, al quale rispose fra’ Sebastiano con un altro assai bello, come quelli che essendo universale seppe anco a far versi toscani e burlevoli accommodarsi. Essendo fra’ Sebastiano morso da alcuni, i quali dicevano che pure era una vergogna che, poi che egli aveva il modo da vivere, non volesse più lavorare, rispondeva a questo modo: "Ora che io ho il modo da vivere non vo’ far nulla, perché sono oggi al mondo ingegni che fanno in due mesi quello che io soleva fare in due anni. E credo, s’io vivo molto, che non andrà troppo si