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Il tramonto di Venere 95

vera dea Venere, erano le infedeltà gratuite e umilianti di Bibì; gli idillii che le toccava interrompere dinanzi alla tromba della scala, colle serve del vicinato; il lezzo di sottane sudicie che egli le portava in luogo di violette di Parma. Aveva un vulcano in corpo, l’indegno! Ardeva per tutte quante della stessa fiamma che consumava lei pure, ahi derelitta — di persona e di beni!



O dolcezze perdute, o memorie! Quando invece Bibì correva dietro a lei, come un pazzo, in quella memorabile stagione dell’Apollo che fece perdere la testa anche a dei principi della Chiesa! Ebbene, essa aveva preferito Bibì, nè signore nè principe, allora, ma giovin, studente e povero, venuto dal fondo di una provincia, ricco solo di entusiasmi, per imparare musica, o pittura — una bell’arte insomma. La più bell’arte, per lui, fu di saper conquistare, senza spendere un quattrino, il cuore di Leda, la quale in quell’epoca teneva legata al filo dei suoi menomi capricci quasi una testa coronata. Capriccio per capriccio, essa preferì il nuovo, quello che aveva il