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Papa Sisto 119

che pensavano ciascuno: — Ora infine tocca a me! — E brigavano, s’arrabattavano, trappolandosi gli uni e gli altri, liberali e realisti. Lui invece nè carne nè pesce, affabile con tutti, rispettoso coi superiori, e tanto di coltello poi sotto la tonaca, a buon conto.

Come si avvicinava il gran giorno delle elezioni, il convento sembrava un formicaio messo in subuglio. Un va e vieni di frati sospettosi — quelli che andavano a caccia di voti — quelli che stavano a spiare — quelli che montavano la trappola — un fruscìo di tonache e di piedi scalzi, specie la notte, capannelli nei corridoi, conciliaboli di religiosi fino in sagrestia, vestendosi per la santa messa, e occhiate torve, anche in refettorio, il campanello della portineria che tintinnava ogni momento, gente di fuori che veniva a confabulare, le figlie penitenti che si guardavano in cagnesco fra di loro esse pure, il servizio divino sbrigato alla diavola, tutti colle orecchie tese alle notizie che giungevano di fuori, al vento che soffiava. — Vincono i regi. — Vincono i rivoltosi. — Hanno bombardato Messina. — Catania si difende. Gli umori e le alleanze segrete che ondeggiavano collo spirare del vento. Fra Giobattista vedeva e taceva, o al più rispondeva: — Ah? — Eh? — Oh! —