uomo anche lui: buono come il pane, e se lo levava di bocca quel poco che guadagnava, per darlo a me. Ma geloso come il Gran Turco: “Dove sei stata? Cosa hai fatto?” E poi si picchiava la testa con un sasso, pentito delle botte che mi dava. Quell’annata del colèra, che tutti scappavano via e si moriva di fame davvero, egli voleva anche mettersi a beccamorto, per non farmi fare la mala vita, col castigo di Dio che ci avevamo addosso. Si lasciava morire di fame piuttosto che mangiare del mio guadagno. Sì, glielo dico in faccia, ora che l’avete a condannare, perchè questa è la verità dinanzi a Dio. Mi diceva, poveretto: “No, non me ne importa. È che penso al come lo guadagni, questo pane, e non posso mandarlo giù.” Ma io che potevo farci? Poi lui lo sapeva che cosa io ero. “Non importa”, tornava a dire; “almeno non ci voglio pensare.” Ma aveva i suoi capricci anche lui, come una donna, e certuni non me li voleva attorno. Allora diventava come un pazzo; si strappava i capelli e si rosicava le mani, perchè non era più gio-