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un processo. | 125 |
grosso, ero io pure. Gli altri, pazienza, oggi questo, domani quell’altro; le buttavano dei soldi e delle male parole, ed essa non ci pensava più. Ma Testa, nossignore! Essa quando era stata con lui, mi ritornava a casa tutta sossopra, cogli occhi che pareva ci avesse la luminaria dentro. Io glielo aveva detto a Testa: “Guarda che a te non te ne importa. Tu ci hai moglie e figliuoli; ma io non ho che questa qui, Testa!” —
Poi tornò a sedersi, accennando ancora del capo, mentre la Corte si ritirava per deliberare. E rimase immobile, nell’ombra, aspettando il suo destino. Era venuta la sera. La folla s’era diradata, e nella sala accendevano il gas. Infine squillò di nuovo un campanello, e comparvero di nuovo le stesse toghe nere, le stesse facce pallide e stanche che guardavano l’imputato. Egli non capiva nulla delle frasi che borbottavano in mezzo a quella folla, nell’ombra. Intese solo il presidente che pronunziava la condanna: — A vita! —