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136 la festa dei morti.

insieme alle bufere della notte, e al soffio d’aprile, colle ore che scorrono uniformi e impassibili anch’esse sul campanile della chiesuola, sino a quella del convito!

A quell’ora tutti gli scheletri si levano ad uno ad uno dalle bare tarlate, coi legacci cascanti sulle tibie spolpate, colla polvere del sepolcro nelle orbite vuote, e scendono in silenzio nella “Camera del Prete”, recando nelle falangi scricchiolanti le ghirlande avvizzite, col ghigno beffardo di tutte le cose umane nelle bocche sdentate.

Più nulla! più nulla! — Nè la tua treccia bionda, che ti cade dal cranio nudo. — Nè i tuoi occhi bramosi, pei quali sfidavo il disonore e la morte, onde portarti il bacio delle labbra che non ho più. Ti rammenti? I baci insaziati dietro quell’uscio! — E neppure i morsi acuti della mia gelosia, il delirio sanguinoso che mi mise in mano l’arma omicida in quell’andito buio. — Nè le lagrime che si piangevano attorno al mio letto, e cercavo di stamparmi negli occhi dilatati