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il suo servo, accusati di aver violato un luogo consacrato dalla religione braminica.
«Avete udito? chiese il giudice a Phileas Fogg.
— Sì, signore, rispose il signor Fogg, consultando il suo orologio, e confesso.
— Ah! voi confessate?...
— Io confesso, ed aspetto che quei tre sacerdoti confessino a loro volta che volevano fare alla pagoda di Pillaij.»
I sacerdoti si guardarono in faccia. Pareva non intendessero nulla delle parole dell’accusato.
«Senza dubbio! esclamò impetuosamente Gambalesta, a quella pagoda di Pillaji, dinanzi a cui stavano per abbruciare la loro vittima!»
Nuova stupefazione dei sacerdoti, e profonda sorpresa del giudice Obadiah.
«Quale vittima? chiese egli. Abbruciare chi? in piena città di Bombay?
— Bombay! esclamò Gambalesta.
— Senza dubbio. Non si tratta già della pagoda di Pillaji, ma della pagoda di Malebar-hill, a Bombay.
— E come corpo di reato, ecco le scarpe del profanatore, aggiunse il cancelliere deponendo un paio di scarpe sulla sua scrivania.
— Le mie scarpe!» esclamò Gambalesta, che fuori di sè dalla sorpresa, non potè rattenere quella involontaria esclamazione.
Ognuno indovina la confusione che erasi operata nella mente del padrone e del servo. Quell’incidente della pagoda di Bombay essi l’avevano dimenticato, ed era proprio quello che li traeva dinanzi al magistrato di Calcutta.
Infatti, l’agente Fix aveva compreso tutto il