Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/144

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a vela, ancora in uso nel Celeste Impero, e tutta quella folla di Cinesi, di Giapponesi e d’Europei, che si accalcava nelle vie. Suppergiù era ancora Bombay, Calcutta o Singapore che il buon giovane ritrovava sulla sua strada. Tutt’intorno al mondo c’è come una striscia di città inglesi.

Gambalesta giunse al porto Vittoria. Lì, alla foce del fiume Canton, era un formicolìo di navi di tutte le nazioni, inglesi, francesi, americane, olandesi, navi da guerra e di commercio, barche giapponesi o cinesi, giunche, sempas, tankas, e persino delle barchette a fiori che formavano tanto aiuole galleggianti sulle acque. Passeggiando, Gambalesta osservò un certo numero d’indigeni vestiti di giallo, tutti avanzatissimi in età. Essendo entrato da un barbiere cinese per farsi radere «alla cinese» riseppe dal Figaro del luogo, il quale parlava un discreto inglese, che quei vecchioni avevano tutti ottant’anni almeno, e che a quell’età avevano il privilegio di portare il colore giallo, che è il colore imperiale. Gambalesta trovò la cosa molto amena, senza saperne bene il perchè.

Rasa la barba, egli si recò al molo d’imbarco del Carnatic, e là scorse Fix che passeggiava innanzi e indietro, il che non gli cagionò alcuna sorpresa. Ma l’ispettore di polizia lasciava scorgere sulla sua faccia i segni di un vivo dispetto.

«Affè! disse tra sè Gambalesta, la va male per i gentlemen del Reform-Club. Tutto ci riesce.»

E si avvicinò a Fix col suo giocondo sorriso, senza voler badare all’aria di malumore del suo compagno.

Ora, l’agente aveva fior di ragioni per indispettirsi contro la sorte infernale che lo perseguitava. Niente mandato! Era evidente che il mandato gli correva