Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/162

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ogg, al momento che la goletta entrava in alto mare, di raccomandarvi tutta la diligenza possibile.

— Vostro Onore riposi su di me, rispose John Bunsby. In fatto di vele, noi portiamo tutto ciò che il vento permette di portare. Le nostre freccie non vi aggiungerebbero nulla, e non sarebbe che sopraccaricare l’imbarcazione nuocendo al suo cammino.

— È il vostro mestiere, e non il mio, piloto; mi affido a voi.»

Phileas Fogg, col corpo ritto, le gambe aperte ed equilibrate come un marinaio, guardava senza barcollare il mare agitato. La giovane donna, seduta a poppa, si sentiva commossa a vedere l’Oceano, oscurato già dal crepuscolo, ch’ella affrontava sopra una fragile barca. Al di sopra della sua testa si spiegavano quelle vele bianche, che la traevano nello spazio pari a grandi ali. La goletta, sollevata dal vento, pareva volare in aria.

Venne la notte. La luna entrava nel suo primo quarto, e la sua insufficiente luce doveva spegnersi in breve nelle nebbie dell’orizzonte. Delle nubi accorrevano dall’est e invadevano già una parte del cielo.

Il piloto aveva disposto i suoi fuochi di posizione, precauzione indispensabile in quei mari molto frequentati in vicinanza agli approdi. Gli scontri di navi non vi erano rari, e con la velocità da cui era animata, la goletta si sarebbe sfracellata al menomo urto.

Fix meditava a prua dell’imbarcazione. Egli se ne stava in disparte, sapendo Fogg d’indole poco ciarliera. D’altra parte, gli ripugnava di parlare a quell’uomo, da cui accettava i favori. Egli pensava altresì all’avvenire. Cotesto gli pareva certo: che il signor Fogg non si fermerebbe a Yokohama, che piglierebbe immediatamente il battello di San Francisco affine di