Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/168

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Fogg, nè mistress Auda, nè Fix acconsentirono a lasciare il ponte.

Verso le otto, la burrasca di pioggia e di vento cadde a bordo. Senz’altro che il suo pezzetto di tela, la Tankadera fu portata via come una penna da quel vento di cui non si potrebbe dare un’idea esatta, quando soffia in tempesta. Paragonate la sua velocità alla quadruplice velocità di una locomotiva lanciata a tutto vapore, e rimarrete al disotto del vero.

Durante tutta la giornata, l’imbarcazione corse così verso il nord, portata da onde mostruose, mantenendo fortunatamente una rapidità uguale alla loro. Venti volte fu ad un pelo dall’essere sommersa da una di quelle montagne d’acqua che si rizzavano a poppa: ma un abile colpo di barra, dato dal pilota, cansava la catastrofe. I passaggieri erano a volte coperti dalla testa ai piedi dalla schiuma, ch’essi ricevevano filosoficamente. Fix bestemmiava senza dubbio. L’intrepida Auda, con gli occhi fissi sul suo compagno, di cui doveva ammirare il sangue freddo, si mostrava degna di lui, ed affrontava la procella al suo fianco. Quanto a Phileas Fogg, pareva che quel tifone facesse parte del suo programma.

Fin allora la Tankadera aveva fatto sempre via al nord, ma verso sera, come era da temere, il vento girando di tre quarti, alò il nord-ovest. La goletta, offrendo allora il fianco ai flutti, fu spaventosamente sobbalzata. Il mare la percuoteva con una violenza tale da spaventare chi non sappia con quale solidità tutte le parti di un bastimento sono connesse tra loro.

Con la notte, la tempesta crebbe vieppiù. Vedendo far scuro, e con l’oscurità imperversare la procella, John Bunsby risentì vive inquietudini. Egli chiese a