Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/201

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ad angoli retti in mezzo ai quali risaltano degli squares verdeggianti; indi, una città cinese che pare essere stata importata dal Celeste Impero in una scatola da giocattoli. Non più sombreros, non più camicie rosse alla maniera degli appaltatori di placers, non più Indiani pennuti, ma cappelli di seta e abiti neri, portati da gentlemen dotati di un’attività divorante. Certe vie, tra l’altre Montgommery-street, — il Regent-street di Londra, il boulevard degl’Italiani di Parigi, il Broadway di Nuova York, — erano fiancheggiate da splendide botteghe, che offrivano nelle loro vetrine i prodotti del mondo intero.

Allorchè Gambalesta giunse a International-Hôtel, gli sembrava di non aver mai lasciato l’Inghilterra.

Il pianterreno dell’albergo era occupato da un immenso «bar,» specie di buffet aperto gratis a qualunque viandante. Carne disseccata, zuppa con le ostriche, biscotto e cacio di Chester vi si smaltivano senza che il consumatore avesse a slacciare la borsa. Egli non pagava che la bevanda, birra, porto o xeres, se gli venisse voglia di rinfrescarsi la bocca. La cosa parve «molto americana» a Gambalesta.

La trattoria dell’albergo era attraente. Il signor Fogg e mistress Auda presero posto dinanzi ad una tavola e furono abbondantemente serviti in certi piatti lilliputiani da moretti del più bel nero.

Dopo colazione, Phileas Fogg, accompagnato da mistress Auda, lasciò l’albergo per recarsi agli uffici del console inglese, onde far vidimare il passaporto. Sul marciapiede egli trovò il suo servo, che gli chiese prima di partire con la ferrovia del Pacifico, non sarebbe prudente comperare qualche dozzina