Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/244

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stazione del forte Kearney non era distante neanco due miglia. Ivi trovavasi un posto americano, ma oltrepassato quel posto, tra il forte Kearney e la stazione seguente, i Siù sarebbero i padroni del treno.

Il conduttore si batteva ai fianchi del signor Fogg, ma una palla lo atterrò. Cadendo, quell’uomo esclamò:

«Siamo perduti, se il treno non si ferma fra cinque minuti!

— Si fermerà! disse Phileas Fogg, che volle slanciarsi fuori del treno.

— Rimanete, signore, gli gridò Gambalesta. È affar mio!»

Il signor Fogg non ebbe il tempo di fermare quel coraggioso giovane, che aprendo uno sportello senza esser visto dagl’Indiani, riescì a cacciarsi sotto al vagone. Ed allora, frattanto che la lotta continuava, mentre le palle s’incrociavano sulla sua testa, ritrovando la sua agilità e la sua flessibilità di clown, avanzando sotto i vagoni, aggrappandosi alle assi, aiutandosi con la leva dei freni e con le stanghe delle impannate, inerpicandosi da una carrozza all’altra con una destrezza maravigliosa, egli giunse così alla testa del treno. Non era stato visto, non aveva potuto esserlo.

Là, sospeso con una mano tra il vagone dei bagagli e il tender, con l’altra staccò le catene di sicurezza; ma a causa dell’attrazione operata egli non sarebbe mai riescito a svitare la sbarra di congiunzione se una scossa che la macchina subì non l’avesse fatta spezzare, ed allora il treno, staccato, rimase poco a poco indietro, mentre la locomotiva se ne scappava con nuova velocità.

Trascinato dalla forza acquisita, il treno camminò ancora per alcuni minuti, ma i freni furono manovrati nell’interno dei vagoni, e il convoglio si fermò