Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/243

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la fermata del treno, slanciandosi sui marciapiedi in numero di un centinaio, essi avevano dato la scalata ai vagoni, come fa un clown con un cavallo al galoppo.

Quei Siù erano muniti di fucili. Da qui le detonazioni, alle quali i viaggiatori, quasi tutti armati, rispondevano con colpi di revolver. A tutta prima, gli Indiani si erano precipitati sulla macchina. Il macchinista e il fuochista erano stati mezzo accoppati a colpi di mazza. Un capo Siù, volendo fermare il treno, ma non sapendo manovrare il manubrio del regolatore, aveva aperto largamente l’introduzione del vapore invece di chiuderla, e la locomotiva, mossa a furia, correva con una celerità spaventevole.

In pari tempo, i Siù avevan invaso i vagoni, correvano come tante scimmie furibonde sulle imperiali, scassinavano gli sportelli, e lottavano corpo a corpo coi viaggiatori. Dal convoglio-bagagli, forzato e saccheggiato, si precipitavano tutti i colli sulla strada. Gridi e spari proseguivano senza tregua.

Intanto i viaggiatori si difendevano animosamente. Alcuni vagoni, asserragliati, sostenevano un assedio come veri forti ambulanti trasportati con una rapidità di cento miglia all’ora.

Fin dal principio dell’attacco mistress Auda si era comportata coraggiosamente. Col revolver alla mano, ella si era difesa con eroismo, sparando tramezzo ai cristalli infranti, allorchè qualche selvaggio le si presentava. Una ventina di Siù, colpiti a morte, erano caduti sulla strada, e le ruote dei vagoni schiacciavano come vermi quelli fra loro che sdrucciolavano sulle rotaie dall’alto dei passatoi. Parecchi viaggiatori, gravemente colpiti dalle palle o dalle mazze, giacevano sui sedili.

Eppure si doveva finirla. Quella lotta durava già da dieci minuti, e non poteva terminare che con vantaggio dei Siù, se il treno non si fermava. Infatti la