Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/253

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sizione. Ella andava all’estremità dello scalo, cercando vedere attraverso la tempesta di neve, volendo squarciare quella nebbia che le restringeva intorno l’orizzonte, tendendo l’orecchio al menomo rumore. Ma nulla. Ella rientrava allora, tutta irrigidita, per ritornare da lì a pochi momenti, e sempre inutilmente.

Venne la sera. Il piccolo distaccamento non era di ritorno. Dove trovavasi in quel momento? Aveva esso potuto raggiungere gli Indiani? C’era stata lotta, o quei soldati, smarriti nella nebbia, erravano a casaccio? Il capitano del forte Kearney era molto inquieto, quantunque non volesse far trasparir nulla della sua inquietudine.

E venne la notte, e la neve cadde meno abbondantemente, ma l’intensità del freddo si accrebbe. Lo sguardo più intrepido non avrebbe considerato senza spavento quella buia immensità. Un assoluto silenzio regnava sulla pianura. Nè il volo di un uccello, nè il passaggio di una belva, ne turbava la calma infinita.

Durante tutta quella notte mistress Auda, con la mente piena di presentimenti sinistri, il cuore colmo d’angosce, errò sul limitare della prateria. La sua immaginazione la traeva lontano, e le mostrava mille pericoli. Ciò ch’ella sofferse durante quelle lunghe ore non si può esprimere.

Fix era sempre immobile allo stesso posto, ma neppur lui dormiva. Ad un certo momento un uomo erasi avvicinato e gli aveva parlato anzi; ma l’agente lo aveva rimandato, dopo di aver risposto alle sue parole con un segno negativo.

La notte trascorse così. All’alba, il disco mezzo spento del sole si alzò sopra un orizzonte nebbioso; però lo sguardo poteva estendersi ad una distanza di due