Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/252

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— Io non posso interrompere il servizio, rispose il conduttore. Abbiamo già tre ore di ritardo.

— E quando passerà l’altro treno proveniente da San Francisco?

— Domani sera, signora.

— Domani sera! ma sarà troppo tardi. Bisogna aspettare.

— È impossibile, rispose il conduttore. Se volete partire, salite in vagone.

— Non partirò, rispose la giovane donna.

Fix aveva udito quel dialogo. Pochi minuti prima, quando ogni mezzo di locomozione gli faceva difetto, egli era deciso a lasciare Kearney, ed ora che il treno era là, pronto a slanciarsi, che egli non doveva far altro che rioccupare il suo posto nel vagone, una irresistibile forza lo incatenava al suolo. Quello scalo della stazione gli scottava i piedi, eppure non poteva staccarsene! La lotta ricominciava in lui. La collera dell’insuccesso lo soffocava. Egli voleva lottare sino all’estremo.

Frattanto, i viaggiatori ed alcuni feriti, — fra gli altri il colonnello Proctor, il cui stato era grave, — avevano preso posto nei vagoni. Si udiva il ronzìo della caldaia soprariscaldata, e il vapore si sprigionava dalle valvole. Il macchinista fischiò, il treno si pose in cammino, e disparve in brev’ora, frammischiando il suo fumo bianco al turbinìo della neve.

L’ispettore Fix era rimasto.

Alcune ore trascorsero. Il tempo era pessimo, il freddo vivissimo. Fix, seduto sopra una panca, nella stazione, rimaneva immobile. Pareva che dormisse. Mistress Auda, ad onta della raffica, lasciava ad ogni poco la camera che era stata posta a sua dispo