Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/262

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passava il corso gelato del Platte-river. Non disse nulla, ma era già certo che, venti miglia più innanzi, sarebbe giunto alla stazione di Omaha.

E difatti, non era ancora trascorsa un’ora, che quest’abile guida, abbandonando la barra, si precipitò alle drizze delle vele e le ammainava in bando, mentre la slitta, trascinata dal suo irresistibile slancio, percorreva ancora un mezzo miglio priva affatto di tela. Finalmente si fermò, e Mudge, additando un ammasso di tetti bianchi di neve, diceva:

«Siamo giunti.»

Giunti! Giunti, infatti, a quella stazione che, a mezzo di tanti treni, è quotidianamente in comunicazione con l’est degli Stati Uniti.

Gambalesta e Fix erano saltati a terra e scrollavano le loro membra irrigidite. Essi aiutarono il signor Fogg e la giovine signora a scendere dalla slitta. Phileas Fogg regolò generosamente il conto con Mudge, al quale Gambalesta strinse la mano come ad un amico, e tutti si precipitarono verso la stazione di Omaha.

A questa importante città del Nebraska si arresta appunto la strada ferrata del Pacifico propriamente detta, che mette il bacino del Mississipì in comunicazione col Grande-Oceano. Per andare da Omaha a Chicago, il rail-road, sotto il nome di «Chicago-Rock-Island-road,» corre direttamente nell’est facendo il servizio di cinquanta stazioni.

Un treno diretto era pronto a partire. Phileas Fogg e i suoi compagni ebbero appena il tempo di precipitarsi in un vagone. Non avevano visto nulla di Omaha, ma Gambalesta confessò a sè stesso che non c’era da affliggersene, e che non si trattava di vedere.

Con somma rapidità, quel treno passò nello Stato