Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/268

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«Ma gli armatori dell’Henrietta... ripigliò Phileas Fogg.

— Gli armatori, sono io, rispose il capitano. Il battello m’appartiene.

— Io ve lo noleggio.

— No.

— Io ve lo compro.

No.»

Phileas Fogg non mosse palpebra. Pure la situazione era grave. Nuova York non era come Hong-Kong, nè il capitano dell’Henrietta come il padrone della Tankadera. Fin qui il denaro del gentleman aveva sempre superato gli ostacoli. Stavolta il danaro non valeva.

Pure, bisognava trovare il mezzo di attraversare l’Atlantico in battello, — a meno di attraversarlo in pallone, — il che sarebbe stato molto avventuroso, e poi non realizzabile.

Sembra però che Phileas Fogg avesse un’idea, perchè disse al capitano:

«Ebbene, volete condurmi a Bordò?

— No, quand’anche mi pagaste duecento dollari!...

— Ve ne offro duemila (10,000 fr.).

— A testa?

— A testa.

— E siete quattro?

— Quattro.»

Il capitano Speedy cominciò a grattarsi la fronte, in modo da strapparsi l’epidermide. Ottomila dollari da guadagnare, senza modificare il suo viaggio, ciò meritava proprio ch’egli mettesse da parte la sua antipatia pronunciata per ogni sorta di viaggiatori. Passeggieri a duemila dollari, non sono più passeggieri: sono una merce preziosa.