Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/71

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Il Francese, vigoroso ed agile, si rialzò lestamente; con un pugno ed un calcio buttò a terra due de’ suoi avversarii, impacciatissimi nelle loro lunghe vesti, e slanciandosi fuori della pagoda con tutta la celerità delle sue gambe, si portò in breve ad una bella distanza dal terzo Indù, che erasi lanciato sulle sue traccie, levando a tumulto la folla.

Alle otto meno cinque, soltanto pochi minuti prima della partenza del treno, senza cappello, a piedi nudi, avendo perduto nel tafferuglio il fardello contenente le sue compere, Gambalesta giungeva alla stazione della ferrovia.

Fix era là, sullo scalo di partenza. Egli aveva seguito il signor Fogg alla stazione: aveva compreso che quel briccone si disponeva a lasciar Bombay. Si decise subito di accompagnarlo sino a Calcutta, e, se occorreva, anche più lontano. Gambalesta non vide Fix che se ne stava in disparte; ma Fix udì il racconto delle sue avventure, che Gambalesta fece in quattro parole al suo padrone.

«Io spero che ciò non vi accadrà più,» rispose semplicemente Phileas Fogg, prendendo posto in una carrozza del treno.

Il povero Gambalesta, scalzo e tutto ammaccato, tenne dietro al suo padrone senza pronunciar verbo.

Fix stava per salire in un vagone separato, allorchè un pensiero lo trattenne e modificò d’un subito il suo progetto di partenza.

«No, io rimango, disse tra sè. Un delitto commesso sul territorio indiano.... Tengo il mio uomo.

In quel momento, la locomotiva gettò un fischio acuto, e il treno scomparve nella notte.