Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/77

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correva a tutto vapore attraverso l’India, un voltafaccia era avvenuto nella sua mente. La sua indole gli ritornava al galoppo. Sentiva rinascere idee fantastiche della sua giovinezza, pigliava sul serio i progetti del padrone, credeva alla realtà della scommessa, e quindi a quel giro del mondo ed a quel maximum di tempo che non bisognava oltrepassare. Anzi egli era già inquieto dei ritardi possibili, degli accidenti che potevano sopraggiungere strada facendo. Si sentiva come interessato in quella scommessa, e tremava al pensiero di averla potuto compromettere il giorno prima con la sua imperdonabile balordaggine. E però, molto meno flemmatico del signor Fogg, egli era molto più inquieto. Contava e ricontava i giorni trascorsi, malediceva le fermate del treno, lo accusava di lentezza, e biasimava in petto il signor Fogg di non aver promesso un premio al macchinista. Ei non sapeva, il buon figliuolo, che ciò ch’era possibile sopra un piroscafo non lo era più sopra una ferrovia, la cui velocità è regolamentare.

Verso sera, si entrò nelle gole dei monti di Sutpour che separano il territorio di Khandeish da quello di Bundelkund.

La domane, 22 ottobre, interrogato da sir Francis Cromarty, Gambalesta, dopo aver consultato il suo orologio, rispose che erano le tre del mattino. E difatti, quel famoso orologio, sempre regolato sul meridiano di Greenwich, che si trovava a circa settantasette gradi ad ovest, doveva ritardare e ritardava infatti di quattro ore.

Sir Francis rettificò adunque l’ora data da Gambalesta, al quale fece la medesima osservazione che questi aveva già ricevuta da Fix. Tentò di fargli capire