Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/88

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— Non so, signor ufficiale, rispose il Parsì, tendendo l’orecchio ad un mormorio confuso che usciva di sotto ai folti rami.

Di lì a pochi minuti quel mormorio divenne più definibile. Lo si sarebbe detto un concerto, ancora molto distante, di voci umane e d’istrumenti di rame.

Gambalesta era tutt’occhi, tutt’orecchi. Il signor Fogg aspettava pazientemente, senza pronunciare mezza parola.

Il Parsì saltò a terra, legò l’elefante ad un albero e s’internò nel più fitto del bosco. Pochi minuti dopo, egli tornò, dicendo:

«Una processione di bramini che si dirige a questa volta. Se è possibile, evitiamo di esser visti.»

La guida slegò l’elefante e lo condusse in una macchia, raccomandando ai viaggiatori di non metter piede a terra. Egli stesso si tenne pronto ad inforcare rapidamente la sua cavalcatura, se la fuga divenisse necessaria. Ma sperava che la turba dei fedeli passerebbe senza scorgerlo, perocchè lo spessore del fogliame lo nascondeva interamente.

Lo strepito discordante delle voci e degli strumenti si avvicinava. De’ canti monotoni si confondevano col suono dei tamburi e dei cimballi. Poco dopo, la testa della processione apparve sotto gli alberi, a una cinquantina di passi dal posto occupato dal signor Fogg e dai suoi compagni. Essi distinguevano facilmente attraverso i rami il curioso personale di quella cerimonia religiosa.

In prima linea si avanzavano dei preti con mitre in testa e lunghe vesti gallonate. Erano circondati da uomini, da donne, da fanciulli, che facevano udire una specie di salmodia funebre, interrotta ad