Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/113

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quest’isola fosse situata a gran distanza da ogni terra o se non si trovasse sulla via delle navi che visitano gli arcipelaghi dell’oceano Pacifico.

Questa volta i compagni lo seguirono nella nuova esplorazione; anch’essi volevano vedere l’isola che doveva provvedere a tutti i loro bisogni.

Potevano essere le sette del mattino circa, quando Cyrus Smith, Harbert, Gedeone Spilett e Nab lasciarono l’attendamento.

Nessuno era inquieto della propria situazione. Avevano fede in sè stessi, senza dubbio, ma conviene osservare che il punto d’appoggio di questa fede non era il medesimo in Cyrus Smith e nei suoi compagni.

L’ingegnere aveva fiducia, poichè credeva di poter strappare a quella selvaggia natura tutto quanto fosse necessario alla vita de’ suoi compagni ed alla propria; gli altri non temevano di nulla, appunto perchè Cyrus Smith era con essi; Pencroff sopra tutti, dopo l’incidente del fuoco acceso, non avrebbe disperato un istante, quand’anche si fosse trovato sopra una nuda roccia, purchè l’ingegnere fosse stato con lui.

— Oibò! esclamò egli, siamo usciti da Richmond senza il permesso delle autorità; vorrei vedere che non riuscissimo un giorno o l’altro a partire da un luogo in cui nessuno certamente ci tratterrà!

Cyrus Smith seguì il medesimo sentiero della vigilia. Fu fatto il giro del cono dell’altipiano, che formava spalla fino alla gola dell’enorme crepaccio; il tempo era bellissimo; il sole saliva sopra un cielo puro e copriva de’ suoi raggi il fianco orientale della montagna.

Si entrò nel cratere. Era pur tale quale l’ingegnere lo aveva riconosciuto nell’ombra, vale a dire un ampio imbuto che andava allargandosi fino ad un’altezza di mille piedi sopra l’altipiano. Ai piedi del crepaccio, larghi e fitti corsi di lava serpeggiavano