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i naufraghi dell’aria 7

l’uragano. E siccome l’uragano durava oramai da cinque giorni, ed i suoi primi sintomi si erano manifestati il 18, si doveva argomentare che il pallone venisse da lontano assai, perchè non aveva dovuto percorrere meno di duemila miglia ogni giorno.

Del resto, i passeggieri non avevano dovuto avere a loro disposizione alcun mezzo di valutare la via percorsa dopo la loro partenza, mancando loro ogni punto di mira. Doveva anzi accadere questo fatto curioso, che, trascinati dalle violenze dell’uragano, non se ne avvedessero. Si muovevano, giravano sopra sè stessi senza punto accorgersi di codesta roteazione nè del movimento orizzontale. I loro occhi non potevano traversare il fitto nebbione che si addensava sotto i loro piedi. Intorno ad essi tutto era bruma. Anzi, siffatta era l’opacità delle nuvole, che non avrebbero potuto dire quando fosse giorno o notte. Nessun riflesso di luce, nessun rumore di terre abitate, nessun ruggito dell’oceano avevano potuto giungere fino ad essi in quella immensità oscura, come se si fossero mantenuti nelle alte zone. Solo la loro rapida discesa aveva potuto dar loro cognizione dei pericoli che correvano sopra le onde.

Frattanto il pallone, alleggerito di molti oggetti, come a dire munizioni, armi, provviste, si era risollevato negli strati superiori dell’atmosfera ad un’altezza di quattromila cinquecento piedi. I passeggieri, dopo d’aver riconosciuto che sotto la loro navicella era il mare, trovando i pericoli meno gravi in alto che al basso, non avevano esitato a buttar via anche gli oggetti più utili, e s’adoperavano a non perdere più nulla del fluido, anima del loro apparecchio che li sorreggeva sopra l’abisso. Passò la notte fra inquietudini che sarebbero state mortali per anime meno energiche, e insieme col giorno, l’uragano segnalò una tendenza ad acquetarsi. Fin dal principio di questa giornata del 24 marzo vi furono molti sintomi di calma.