Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/204

Da Wikisource.

tessero alla luce di entrare a profusione in quella meravigliosa navata che doveva servire di gran sala. Quella facciata, posta ad un’altezza di ottanta piedi da terra, guardava all’est, ed il sole nascente la salutava coi primi suoi raggi. Essa si svolgeva su quella parte della cortina compresa fra la sporgenza che faceva angolo colla foce della Grazia ed una linea perpendicolarmente tracciata sotto il cumulo di roccie che formava i Camini.

A questo modo i cattivi venti, vale a dire quelli del nord-est, non la percuotevano che per isbieco; e poi, aspettando che fossero fatti i telai delle finestre, l’ingegnere intendeva chiudere le aperture con grosse imposte che non lascerebbero passare nè il vento nè la pioggia, e che potrebbe dissimulare al bisogno.

Il primo lavoro consistette adunque nel fare le aperture. L’opera del piccone su quel duro sasso sarebbe stata troppo lenta, e si sa che Cyrus Smith era l’uomo dei gran mezzi. Egli aveva ancora una certa quantità di nitro-glicerina a sua disposizione, e se ne servì. L’effetto della sostanza esplosiva fu convenientemente ristretto, e sotto ogni sforzo il granito si sfondò proprio dove conveniva all’ingegnere; poi il piccone compì il disegno ogivale delle cinque finestre, dell’ampio vano, degli occhi di bue e della porta. Se ne appianarono le cornici, ed alcuni giorni dopo il principio dei lavori, il Palazzo di Granito era abbondantemente rischiarato da quella luce di levante che penetrava fin nelle più segrete profondità.

Secondo il piano stabilito da Cyrus Smith, doveva essere diviso in cinque scompartimenti che guardassero sul mare. A diritta un’anticamera con una porta a cui metterebbe una scala, poi una prima camera ad uso di cucina, larga trenta piedi, un dormitojo d’ugual larghezza, ed infine una camera d’amici reclamata da Pencroff, comunicante colla gran sala.