Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/206

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facilmente sollevati fino al livello del Palazzo di Granito. Il trasporto dei materiali si trovava così molto semplificato, e subito incominciò l’adattamento interno propriamente detto. Non mancava la calce, ed alcune migliaja di mattoni erano là pronti a servire. Si rizzarono comodamente i tramezzi, ed in brevissimo tempo il quartiere fu diviso in camere e magazzini, secondo il disegno prestabilito.

Codesti differenti lavori si compievano rapidamente sotto la direzione dell’ingegnere, il quale maneggiava egli stesso il martello e la cazzuola. Nessuna fatica tornava ignota a Cyrus Smith, il quale dava così l’esempio ai compagni intelligenti e volenterosi. Si lavorava con fiducia, allegramente. Pencroff trovava sempre modo di far ridere. O fosse carpentiere, cordajo o muratore, il suo buon umore era contagioso, la sua fede nell’ingegnere assoluta, tanto da crederlo capace d’intraprendere e di condurre a buon fine checchessia.

La questione delle vestimenta e della calzatura, quella dell’illuminazione durante le notti d’inverno, la coltivazione delle parti fertili dell’isola, la trasformazione della flora selvaggia in una flora incivilita, tutto gli sembrava facile coll’ajuto di Cyrus Smith, e tutto doveva farsi a suo tempo. Egli fantasticava fiumi incanalati che facilitassero il trasporto delle ricchezze del suolo, cave e miniere di cui far traffico, macchine adatte a tutte le industrie, ferrovie — sì, anche ferrovie! — che coprissero come una rete l’isola Lincoln.

L’ingegnere lasciava dire senza correggere le esagerazioni di quell’ottimo cuore. Egli sapeva quanto la fiducia sia comunicativa; sorrideva anche intendendolo parlare e nulla diceva delle inquietudini che gl’inspirava talvolta l’avvenire.

In fatti in quella parte del Pacifico, fuori del passaggio delle navi, egli temeva di non essere soccorso