Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/372

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Quel giorno, al momento che stavano per levarsi da tavola, Pencroff intese una mano posarsi sul suo omero. Era quella di Gedeone Spilett, il quale gli disse:

— Un momento, signor Pencroff, dimenticate le frutta.

— Grazie, signor Spilett, torno al lavoro.

— Una chicchera di caffè?

— Nemmeno.

— Una pipata allora?

Pencroff s’era levato d’un balzo e la sua grossa faccia impallidì quando vide Spilett che gli presentava una pipa ed Harbert un carbone acceso. Volle parlare, ma non vi riuscì. Prese la pipa, poi, mettendovi il carbone, la pose tra le labbra e fece cinque o sei aspirazioni. Si levò una nuvola azzurra e profumata, e dalle profondità di quella nuvola s’intese una voce commossa e delirante dire:

— Tabacco! proprio tabacco!

— Sì, Pencroff, disse Spilett, eccellente tabacco.

— O divina Provvidenza, autore sacro di tutte le cose! Non manca dunque più nulla all’isola nostra?

E Pencroff fumava! fumava! fumava!

— E chi ha fatto questa grande scoperta? Voi senza dubbio, Harbert.

— No, Pencroff, è il signor Spilett!

— Signor Spilett! disse il marinajo stringendosi al petto il reporter, il quale non aveva mai subíto un amplesso simile.

— Ouff! Pencroff, disse Gedeone Spilett ripigliando fiato; date una porzione della vostra gratitudine ad Harbert, il quale ha riconosciuto questa pianta, a Cyrus che l’ha preparata ed a Nab che ha durato tanta fatica per mantenere il segreto.

— Ebbene, amici miei, mi sdebiterò un giorno o l’altro, ed ora per la vita e per la morte!

FINE DEL VOLUME TERZO.