Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo II, Milano, Guigoni, 1890.pdf/115

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Alle otto del mattino il Bonaventura spiegava le vele e filava rapidamente verso il capo Mandibola nord, poichè aveva il vento in poppa.

— Non mi stupirei, disse Pencroff, che si preparasse qualche colpo di vento d’ovest. Jeri il sole si è coricato sopra un orizzonte rossissimo, ed ecco questa mattina delle «code di gatto» che non presagiscono nulla di buono.

Codeste code di gatto erano cirri sparpagliati allo zenit e la cui altezza non è mai inferiore a cinquemila piedi sul livello del mare. Sembravano pezzetti di bambagia, e la lor presenza annunzia di solito qualche vicino commovimento dell’atmosfera.

— Ebbene, disse Cyrus Smith, spieghiamo le vele più che possiamo e si vada a cercar rifugio nel golfo del Pesce-cane; credo che il Bonaventura vi sarà al sicuro.

— Benissimo, rispose Pencroff, e d’altra parte la costa nord non è formata che di dune pochissimo attraenti.

— Non mi dorrebbe, aggiunse l’ingegnere, di passare non solo la notte, ma anche la giornata di domani, in questo seno che merita di essere esplorato attentamente.

— Credo che vi saremo costretti, lo vogliamo o no, rispose Pencroff, perchè l’orizzonte comincia a farsi minaccioso nell’ovest. Vedete come si fa brutto?

— In ogni caso, abbiamo buon vento per giungere al capo Mandibola, fece osservare il reporter.

— Buonissimo vento, rispose il marinajo, ma per entrar nel golfo bisognerà bordeggiare, e mi piacerebbe vederci chiaro in paraggi che non conosco.

— Paraggi che devono essere sparsi di scogli, aggiunse Harbert, se giudichiamo da ciò che abbiam visto nella costa sud del golfo del Pesce-cane.

— Pencroff, disse allora Cyrus Smith, fate ciò che credete meglio. Ci rimettiamo in voi.