Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo II, Milano, Guigoni, 1890.pdf/116

Da Wikisource.


— State tranquillo, signor Cyrus, rispose il marinajo, non mi esporrò senza necessità; preferirei un colpo di coltello nelle mie opere vive, che un colpo di scoglio in quelle del mio Bonaventura.

Ciò che Pencroff chiamava opere vive era la parte immersa della carena del suo battello, e ci teneva più che alla propria pelle.

— Che ora è? domandò Pencroff.

— Le dieci, rispose Gedeone Spilett.

— E qual distanza dobbiamo percorrere sino al capo, signor Cyrus?

— Quindici miglia circa, rispose l’ingegnere.

— L’affare di due ore e mezzo, disse allora Pencroff; saremo in faccia al capo tra mezzodì e la una. Disgraziatamente, la marea comincerà ad abbassarsi in questo momento, ed il riflusso uscirà dal golfo. Temo forte che ci sarà difficile entrarvi avendo mare e vento contro di noi.

— Tanto più che oggi è luna piena, fece osservare Harbert, e che queste maree d’aprile sono fortissime.

— Ebbene, Pencroff, domandò Cyrus Smith, non potete voi gettar l’ancora sulla punta del capo?

— Ancorarmi vicino a terra col brutto tempo che minaccia! Che dite mai, signor Cyrus? Sarebbe tutt’uno come voler essere buttati contro la costa.

— Che farete dunque?

— Cercherò di stare al largo fino al flusso, vale a dire fino alle sette pomeridiane, e se sarà ancora chiaro cercherò d’entrare nel golfo; se no, rimarremo a far bordate tutta notte, ed approderemo domani all’alba.

— Fate voi, Pencroff, rispose Cyrus Smith.

— Ah! disse il marinajo, se vi fosse soltanto un faro su questa costa, sarebbe più comodo per i naviganti!

— Sì, rispose Harbert, e questa volta non avremo