Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo II, Milano, Guigoni, 1890.pdf/299

Da Wikisource.


L’ingegnere afferrò il filo e vide che si cacciava in mare.

I compagni, ritti accanto a lui, erano stupefatti; sfuggì loro un grido di dispetto, quasi di disperazione. Bisognava adunque precipitarsi sotto quelle acque e cercare qualche caverna sottomarina. Tanto erano accesi, che non avrebbero esitato a farlo, ma una riflessione dell’ingegnere li arrestò.

Cyrus Smith condusse i compagni sotto un vano della roccia, e colà disse:

– Aspettiamo! La marea è alta; a marea bassa la via sarà aperta.

– Ma che mai vi può far credere....? domandò Pencroff.

– Non ci avrebbe chiamati, se dovessero mancare i mezzi di arrivare fino a lui.

Cyrus Smith aveva parlato con accento di tanta convinzione, che nessuno ribattè parola.

Logica era del resto la sua osservazione. Bisognava ammettere che un’apertura, praticabile a marea bassa, si aprisse a’ piedi della muraglia e che ora le onde la chiudessero.

Bisognava aspettare alcune ore. I coloni rimasero adunque rannicchiati sotto una specie di portico profondo scavato nella roccia.

La pioggia cominciava allora a cadere, e fu in torrenti che poco dopo si sciolsero le nuvole lacerate dalla folgore. Gli echi ripercotevano i rumori del tuono dandogli una grandiosa sonorità.

La commozione dei coloni era estrema. Mille pensieri strani, soprannaturali, traversavano il loro cervello ed evocavano qualche apparizione grande, sovrumana, che solo avrebbe potuto corrispondere all’idea che essi facevano del genio dell’isola.

Alla mezzanotte, Cyrus Smith portando seco il fanale, scese fino al livello del greto per osservare la disposizione delle roccie. Vi erano già due ore di marea bassa.