Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo II, Milano, Guigoni, 1890.pdf/300

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L’ingegnere non si era ingannato. Già cominciava a disegnarsi sopra le acque la curvatura d’un vasto cavo. Colà il filo, facendo un gomito ad angolo retto, penetrava nella gola aperta.

Cyrus Smith tornò presso ai compagni e disse loro semplicemente:

– Fra un’ora l’apertura sarà praticabile.

– Esiste dunque? domandò Pencroff.

– E ne avete dubitato? disse Cyrus Smith.

– Ma quella caverna sarà riempita d’acqua fino ad una certa altezza! fece osservare Harbert.

– O la caverna è asciutta interamente, disse Cyrus Smith, e la percorreremo a piedi, o non è asciutta, e ci sarà dato un mezzo qualsiasi di trasporto.

Passata un’ora, tutti scesero sotto la pioggia fino al livello delle acque. In tre ore la marea erasi abbassata di quindici piedi e il sommo dell’arco tracciato dalla curvatura ne dominava il livello d’otto piedi almeno. Era come l’arco d’un ponte, sotto il quale passavano le acque miste a schiuma.

Nella curvatura l’ingegnere vide un oggetto nero, che galleggiava alla superficie del mare, e lo trasse a sè.

Era un canotto ormeggiato con una corda a qualche sporgenza interna della parete.

Questo canotto era fatto di ferro inchiavardato.

Sotto le panche erano due remi.

– Imbarchiamoci, disse Cyrus Smith.

Un istante dopo i coloni erano nel canotto. Nab ed Ayrton avevano dato mano ai remi e Pencroff aveva preso il timone. Cyrus Smith, col fanale in mano, rischiarava la via.

La vôlta bassissima, sotto la quale il canotto passò sulle prime, si rilevo bruscamente, ma troppo era profonda l’oscurità, e la luce del fanale troppo debole, perchè si potesse riconoscere l’estensione di quella caverna, la sua larghezza, la sua altezza e la sua profondità.