Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo II, Milano, Guigoni, 1890.pdf/310

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scomparvero tutti. Dove mai dunque il principe Dakkar era andato a cercare quell’indipendenza che gli negava la terra abitata? Sotto le acque, nella profondità dei mari, dove nessuno potesse seguirlo. All’uomo di guerra si sostituì lo scienziato. Un’isola deserta del Pacifico gli servì a porre i cantieri, dove fu costrutto un battello sottomarino, secondo il disegno da lui dato. L’elettricità di cui, con mezzi che saranno noti un giorno, aveva saputo mettere a profitto l’enorme forza meccanica, e ch’egli attingeva a sorgenti inesauribili, servì al suo apparecchio galleggiante come forza motrice, illuminante e calorifica.

Il mare coi suoi tesori infiniti, colle sue miriadi di pesci, colle sue messi di alghe e di sargassi, coi mammiferi enormi, e non solo tutto ciò che la natura v’alimentava, ma anche tutto quello che gli uomini v’avevano perduto, bastò largamente ai bisogni del principe e del suo equipaggio, e fu il compimento del suo più vivo desiderio, poichè non voleva più avere alcuna comunicazione colla terra. Chiamò quel l’apparecchio sottomarino il Nautilus, sè stesso il capitano Nemo, e sparve sotto i mari.

Per molti anni il capitano Nemo visitò tutti i mari dall’uno all’altro polo.

Paria dell’universo abitato, raccolse in quei mondi sconosciuti tesori innumerevoli.

I milioni perduti nella baja di Vigo dai galeoni spagnuoli nel 1702 gli fornirono una miniera inesauribile, di cui dispose sempre, senza manifestarsi, a favore dei popoli che si battevano per l’indipendenza del loro paese 1.

Infine, da un pezzo egli non aveva avuto alcuna comunicazione coi suoi simili, quando nella notte del 6 novembre 1866, tre uomini furono gettati al suo

  1. Si allude alla rivoluzione dei Candioti, che il capitano Nemo ajutò infatti in tal guisa.