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104 mastro zaccaria.

terrà.» E questo uomo non vuol rimontarlo, può spezzarlo, precipitarlo nel nulla. Ah! figlia mia non m’ami dunque più?

— Babbo! mormorò Geranda tornando in sè.

— Se tu sapessi quanto ho sofferto lontano da questo principio della mia esistenza, soggiunse il vecchio; forse non si aveva cura di questo orologio; si lasciava che le sue molle si logorassero, che si intricassero le sue ruote; ma ora colle mie proprie mani io voglio mantenergli la salute così cara, perchè non bisogna che io muoia, io, il grande orologiaio di Ginevra! Guarda, figlia mia, come queste freccie camminano a passo sicuro! To’, ecco, le cinque stanno per suonare! Ascolta, bene e guarda la bella massima che si offrirà a’ tuoi sguardi.

Suonarono le cinque al campanile dell’orologio con un rumore che eccheggiò dolorosamente nell’anima di Geranda, ed apparvero in lettere rosse queste parole:

Bisogna mangiare i frutti dell’albero della scienza.

Aubert e Geranda si guardarono in faccia. Non erano più le imprese ortodosse dell’orologiaio cattolico. Certo Satana ci aveva soffiato sopra. Ma Zaccaria non ci badava e soggiunse:

«Intendi, Geranda mia? Io vivo, io vivo ancora, ascoltala mia respirazione, vedi il sangue che circola nelle mie vene.... no, tu non potrai uccidere il padre tuo, accetterai questo uomo per sposo, affinchè io divenga immortale e raggiunga finalmente la potenza di Dio.

A queste empie parole, Scolastica si fece il segno della croce e Pittonaccio mandò un grido di gioia.

— E poi Geranda, tu sarai felice con esso. Vedi questo uomo? È il tempo! La tua esistenza sarà regolata con precisione assoluta. Geranda! Poichè io t’ho data la vita, rendi la vita al padre tuo.

— Geranda, mormorò Aubert, io sono il tuo fidanzato.

— Egli è mio padre, rispose Geranda sfinita di forze.

— È tua, disse mastro Zaccaria. Pittonaccio manterrai tu la promessa?

— Ecco la chiave dell’orologio, rispose l’orribile personaggio.