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18 un capriccio del dottor ox.

costrutta un’officina per la produzione d’un gas illuminante, i gazometri erano pronti, ed i tubi conduttori, circolando sotto il pavimento delle vie, dovevano in breve spicciare in forma di fiamma nei pubblici edifici ed anco nelle case private di certi amanti del progresso.

Nella loro qualità di borgomastro e di consigliere van Tricasse e Niklausse oltre parecchi notabili avevan creduto di dover ammettere nelle loro abitazioni l’uso di quella moderna illuminazione.

Se il lettore non se n’è dimenticato, durante la lunga conversazione del consigliere e del borgomastro, fu detto che l’illuminazione della città si otterrebbe non già colla combustione del volgare idrogeno carburato fornito dalla distillazione del carbon fossile, ma per mezzo d’un gas più moderno e venti volte più splendido, il gas ossidrico prodotto dall’idrogeno o dall’ossigeno mescolati insieme. Ora il dottore che era abile chimico e fisico ingegnoso, sapeva ottenere codesto gas in gran volume ed a buon patto; non già adoperando il manganato di sodio secondo i processi di Tessie du Motay, ma semplicemente decomponendo l’acqua leggermente acidulata per mezzo d’una pila fatta di nuovi elementi e da lui inventata. A questo modo non occorrevano materie costose, nè platino, nè storte, nè combustibile, nè apparecchio dilicato per produrre isolatamente i due gas. Una corrente elettrica attraversava vasti tini pieni d’acqua, e l’elemento liquido si decomponeva nelle sue due parti costitutive, l’ossigeno e l’idrogeno. L’ossigeno se ne andava da una parte, l’idrogeno, in doppio volume del suo antico compagno, da un’altra; entrambi venivano raccolti in serbatoi separati, precauzione essenziale poichè il loro miscuglio avrebbe prodotto uno scoppio spaventoso se si fosse infiammato. Tubi secondari dovevano condurli separatamente ai diversi becchi disposti in guisa da prevenire ogni scoppio. Si produrrebbe allora una fiamma splendidissima, fiamma il cui bagliore gareggia con quello della luce elettrica, che come ognun sa, risulta dagli esperimenti di Casselmann, essere uguale a quello di mille centosettantuna candele — non una di più, non una di meno.