Pagina:Veronese - La geometria non archimedea.djvu/11

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E quanto all’utilità della geometria non-archimedea osservo che non può confondersi con qualunque geometria che si ottenga tralasciando o modificando qualche assioma. La geometria non-archimedea, come la non-euclidea, ha risolto una questione sulla quale si discuteva da secoli ed ha gettato nuova luce sulla costituzione del continuo e dello spazio geometrico. E ciò basta per la matematica pura. Del resto, ogni legge matematica, essendo una legge del pensiero, è anche una legge della Natura. E per l’armonia meravigliosa che esiste fra le leggi del pensiero e quelle del mondo, fuori di esso non si può asserire a priori che in questo non possano avere un’applicazione utile anche le più alte e più astratte concezioni matematiche. Ma non può essere questa utilità relativa lo scopo diretto della ricerca matematica in generale e in particolare quella intorno ai principi della scienza; non escludiamo però, anzi vogliamo oggi più che mai che uno degli scopi più importanti della scienza sia anche quello di soddisfare ai bisogni delle scienze applicate e di corrispondere meglio che è possibile alla sua importante funzione sociale.

E qui, come geometri, avremmo finito. Ma se non è compito nostro di fare della filosofia, non possiamo però accettare le restrizioni del puro empirismo sull’estensione della ricerca matematica; il Pasch stesso che ha fatto un utile tentativo in questo senso, e per tante ragioni assai lodevole, non ha potuto rimanere coerente al suo programma1. Nè possiamo quali geometri ammettere che lo spazio e i suoi postulati siano forme a priori dell’intuizione pura, secondo la critica di Kant, perchè nessuna prova matematica è stata data ad es. per il postulato delle parallele di Euclide, il solo che Kant conoscesse. E quei filosofi positivisti i quali combattono le ipotesi euclidee non sono meno metafisici dei kantiani. E tanto meno possiamo ammettere che pur non avendo il postulato di Euclide la stessa evidenza degli altri e possa non essere verificato da ulteriori osservazioni noi abbiamo un’intuizione a priori o subiettiva necessaria del postulato medesimo, la quale intuizione deriverebbe dalle rappresentazioni visive e tattili2. E non la possiamo accettare perchè se l’esperienza non confermasse il postulato di Euclide, dovrebbero pur modificarsi le rappresentazioni visive e tattili, e quindi anche la nostra intuizione spaziale. In ogni caso nessuna prova geometrica abbiamo della necessità subiettiva del postulato di Euclide e degli altri assiomi; cosicchè il geometra non può ammettere gli assiomi dati dalle rappresentazioni visive e tattili per tutto lo spazio illimitato senza giustificare tale estensione. La nostra intuizione è fatta di osservazione e di esperienza idealizzata, perchè quando mi figuro la retta intuitivamente, non la so immaginare che come un oggetto rettilineo per quanto idealizzato, e sebbene poi coll’astrazione io estenda tale rappresentazione a qualunque segmento della retta illimitata. Noi ci assicuriamo infatti della presenza degli oggetti esterni e delle loro proprietà per mezzo dei sensi e delle qualità delle nostre sensazioni che essi producono in noi, e tratteniamo coll’astrazione soltanto quella dell’estensione per avere le prime forme geometriche. E così, come il linguaggio, l’intuizione spaziale è il prodotto di una lunga esperienza. Gli uomini

  1. A., Fondam. di geometria. Appendice.
  2. Enriques, Sulla spiegazione psicologica dei postulati della geometria (Rivista filosofica di G. Cantoni. Pavia, 1903). — Enc. der Math. Wiss. (loc. cit. Einleitung).