Pagina:Verri - Osservazioni sulla tortura, Milano 1843.djvu/46

Da Wikisource.
38 osservazioni

indagatio per tormentum, seu per torturam; et potest tortura appellari quaestio quaerendo, quod judex per tormenta inquirit veritatem1.

I fautori della tortura cercano calmare il ribrezzo, che ogni cuore sensibile prova colla sola immaginazione del tormento. Poco è il male, dicono essi, che ne soffre il torturato: si tratta di un dolore passaggiero, per cui non accade mai l’opera di medico o cerusico; sono esagerati i dolori che si suppongono. Tale è il primo argomento col quale si cerca di soffocare il raccapriccio che alla umanità sveglia la idea della tortura. Pure dai fatti accaduti nel 1630 viene delineato a caratteri di sangue l’orrore di questi tormenti: le leggi, le pratiche sotto le quali viviamo sono le stesse, siccome ho detto, ed altro non manca per ripetere le stesse crudeltà, se non che ritornassero de’ giudici simili a quelli d’allora. Si adopera attualmente per tortura la lussazione dell’osso dell’omero; si adopera talvolta il fuoco a’ piedi, crudeli operazioni per sè stesse, ma nessuna legge limita la crudeltà a questi due modi: i dottori, che sono i maestri di questi spasimi, i dottori che si consultano per regola e norma de’ giudizj criminali, non prescrivono certamente molta moderazione. Il Bossi Milanese, che tratta della pratica criminale di Milano, al tit. de Tortura, num. 2, dice: «Non chiamerò tortura ogni dolore di corpo: la tortura debb’essere più grave, che se si tagliassero ambe le mani; e soffrir la tortura, egli è patire le estreme angosce dello spasimo... E basta osservare i preparativi e i modi di tormentare per conoscerlo: niente è mite, anzi tutto è crudelissimo; e perciò spesse volte si dà la tortura col fuoco, e quel che dice l’uomo tormentato col fuoco si reputa la verità istessa.» Nec quodlibet tormentum cum dolore corporis dicitur quaestio: hinc est quod gravior est tortura, quam utriusque manus abscissio; et pati torturam est supremas angustias sustinere, ut vidimus et audivimus, et de his tormentis loquitur totus titulus de quaestionibus: sic etiam loquuntur doctores, quod maxime patet dum congerunt instrumenta et modos torquendi; quia nihil horum est leve, immo crudelissimum, et ideo etiam igne saepe rei torquentur: igne defatigati, quae dicunt ipsa videtur esse veritas. Dopo ciò non saprei mai come possa dirsi che la tortura per sé sia un male da poco. Non nego che un giudice umano potrà temperare la ferocia di questa pratica; ma la legge non è certamente mite, nè i dottori maestri lo sono punto. Veggasi con qual crudeltà il Zigler2 descrive questa inumanissima pratica: «Oltre lo stiramento, con candele accese si suole arrostire a fuoco lento il reo in certe parti del corpo; ovvero alle estremità delle dita si conficcano sotto l’unghie de’ pezzetti di legno resinoso, indi si appiccica

  1. Ab. Parnomit. in cap- cum in cotemplat., X, de R. J.
  2. Tema 47, de Torturis, 5 12